Termina, con questo quarto contributo, la lettura distribuita nell’arco di una settimana, dell’intervento tenuto al convegno dell’Associazione nazionale parroci e vicari parrocchiali di Italia e Albania dell’Ordine dei frati minori da S.E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia per la vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia, sul tema “La famiglia, prima comunità cristiana, scuola di vita e di fede dei giovani”. Leggi la prima, la seconda e la terza parte dell’intervento.
I ministri ordinati e l’accompagnamento dei fidanzati
Nel capitolo sesto l’Esortazione ribadisce che le famiglie sono soggetto e non solamente oggetto di evangelizzazione. Sono esse, anzitutto, ad essere chiamate a comunicare al mondo il “Vangelo della famiglia” come risposta al profondo bisogno di famigliarità iscritto nel cuore nella persona umana e della stessa società. Certo, hanno bisogno di un grande aiuto in questa loro missione. Il Papa parla, anche in questa prospettiva, della responsabilità dei ministri ordinati. E sottolinea con franchezza che a loro “manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie” (n.202). E chiede una rinnovata attenzione anche alla formazione dei seminaristi. Se da una parte bisogna migliorare la loro formazione psico-affettiva e coinvolgere di più la famiglia nella formazione al ministero (cfr. n.203), dall’altra sostiene che “può essere utile (…) anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati” (n. 202).
Un punto particolare merita l’attenzione: l’accompagnamento dei fidanzati sino alla celebrazione del sacramento e nei primi passi della nuova vita famigliare. Il testo iscrive questa prospettiva all’interno della vita della Comunità ecclesiale: è sempre più evidente che si tratta di aiutare i due giovani fidanzati a vivere la fede nella comunità cristiana alla quale appartengono. Va allontanato ogni “individualismo religioso”, come lo stesso Benedetto XVI osservava nella Enciclica Spe salvi. È indispensabile perciò accompagnarli mentre muovono i loro primi passi di vita famigliare (compreso il tema della paternità responsabile). Qui ci troviamo di fronte ad un vasto campo quasi del tutto ignoto alla vita ordinaria delle parrocchie. È utile qui l’esperienza dei movimenti famigliari che hanno già individuato dei percorsi efficaci di accompagnamento. Ed è anche in questo orizzonte che vanno promosse le associazioni famigliari sia per aiutare la vita spirituale delle famiglie sia per una più efficace presenza nella vita sociale ed anche politica.
Il Papa esorta quindi all’accompagnamento anche delle persone abbandonate, di quelle separate o divorziate. Sottolinea, tra l’altro, l’importanza della recente riforma dei procedimenti per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale e della responsabilità affidata ai Vescovi. Il testo richiama la sofferenza dei figli nelle situazioni conflittuali. Si accenna ai matrimoni misti e a quelli con disparità di culto, e alla situazione delle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale, ribadendo il rispetto nei loro confronti e il rifiuto di ogni ingiusta discriminazione e di ogni forma di aggressione o violenza.
La cura delle famiglie ferite: accompagnare, discernere e integrare
Il capitolo ottavo – tra le parti più attese della Esortazione papale – costituisce un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore propone. Il Papa ribadisce che non si deve affatto rinunciare ad illuminare la verità del cammino della fede e le forti esigenze della sequela del Signore. Esorta però ad assumere lo sguardo di Gesù e lo stile di Dio che ha chiaramente espresso nelle sue parole, nei suoi gesti, nei suoi incontri. Richiama il fatto che ci sono anche “altre forme di unione che contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo” e in queste ultime il Papa colloca i credenti conviventi o quelli uniti solo con matrimonio civile. In ogni caso, la Chiesa “non manca di valorizzare gli ‘elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più’ al suo insegnamento sul matrimonio” (n.292). C’è qui l’ansia evangelica di non spegnere il lucignolo fumigante (cfr. Mt.12,20). Ogni “seme di famiglia” – si potrebbe dire – ovunque ci sia, va accompagnato e fatto crescere.
Il Papa iscrive l’intera Esortazione nell’orizzonte della Misericordia. E consegna tre verbi tra loro legati: accompagnare, discernere, integrare. Tale itinerario è possibile solo se c’è una comunità cristiana che, appunto, accompagna, discerne e integrare chi deve guarire e crescere nell’amore di Cristo. Il discernimento nella Chiesa, va certamente fatto con un giusto giudizio, ossia che sia aderente alla concretezza degli atti e degli avvenimenti che hanno prodotto una situazione critica dal punto di vista della coerenza cristiana e della coscienza morale. Ma non deve essere, però, un atto liquidatorio di condanna che non tiene conto della qualità morale degli atti e delle intenzioni, dei fatti e delle circostanze. E soprattutto il giudizio è teso ad aprire la strada per la conversione. Un giudizio che registra il peccato e non attiva la salvezza è pre-cristiano.
È questo il significato dell’ammonimento del Papa, quando dice che vanno evitati i “giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (n.296). Le situazioni sono molto diverse tra loro e “non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale” (n.298). In ogni caso, per quanto riguarda il cristiano, e la stessa Chiesa, “nessuno può essere condannato per sempre” (297).
In tale prospettiva “è comprensibile – continua il Papa – che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi” (n.300). La dottrina cattolica e la norma morale del matrimonio è già chiaramente espressa, per tutti, nella sua inderogabile trasparenza. La domanda che dobbiamo farci non è sulla dottrina, ma sulla realtà che abbiamo di fronte: cosa fare nella complessità delle storie di vita che, in diverso modo, entrano in contraddizione con essa? La serietà della dottrina cattolica circa il giudizio morale, forse un po’ trascurata dal prevalere della sua semplificazione legale, viene rimessa in onore dalla Esortazione Apostolica. La qualità dei processi di conversione non coincide automaticamente con la definizione giuridica-istituzionale degli stati di vita. Per questo il testo scrive che “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (301). Il compito dei sacerdoti è accompagnare in questo percorso ecclesiale di conversione e di integrazione. Quindi niente “fai-da-te”, per nessuno. E, secondo una retta ecclesiologia della comunione, anche il Vescovo non viene lasciato solo nell’esercizio del suo specifico ministero di unità, che deve sostenere il ministero sacerdotale e la comunità cristiana. L’ampiezza di questo coinvolgimento ecclesiale, e la ricerca della sua armonia dottrinale e pastorale, è indispensabile. Infatti, non vi è qui soltanto un calcolo legale da applicare, codici alla mano. Né del resto, si tratta di una complessità da semplificare ad arbitrio, stabilendo eccezioni o concedendo privilegi dettate dalle ragioni e dalle convenienze del mondo, invece che dalla giustizia e con la misericordia del vangelo (300). È un processo delicato, che si iscrive in un cammino spesso intricato e non subito decifrabile, del rapporto fra la coscienza del peccato e la grazia della riconciliazione. E questo rende perfettamente comprensibile il suo legame con l’inviolabile intimità del “foro interno” (che attiene per un verso alla delicata mediazione della direzione spirituale, e per altro aspetto alla dottrina del sacramento della Riconciliazione). D’altra parte, la ricomposizione dei legami di fede fra storie difficili della vita familiare e la trasparenza testimoniale della comunione ecclesiale, non può prescindere dal discernimento delle condizioni visibili e pubbliche della riconciliazione possibile.
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