Continua il nostro cammino alla scoperta dei Padri. Nella prima parte abbiamo iniziato a conoscere Cipriano di Cartagine attraverso il suo stesso racconto. Ad Donatum è come una finesta sull’animo di quest’uomo che a 35 anni vive e racconta l’evento che cambia radicalmente la sua vita: il battesimo.
Che meraviglia! Il racconto tetro delle esitazioni pre-battesimali cede il posto a uno scenario di luce calda, benefica e comunque travolgente. L’azione salvifica dell’acqua generatrice di vita (undae genitalis auxilium) soppianta dolcemente il mare infido in cui Cipriano aveva fluttuato prima di tanta conversio, detergendo la macchia del peccato e trasformando l’animo in un ricettacolo di luce proveniente desuper. Lo Spirito Santo, allora, sgorgante dal cielo quale acqua viva e zampillante di giovannea memoria (cf. Gv 4,7.14-15), si profonde sul catecumeno e lo rende un uomo nuovo, certo che – come aveva insegnato un altro illustre autore cartaginese, Tertulliano – «cristiani non si nasce, si diventa» (Apol. 18,4). Come? Rinascendo dall’alto (cf. Gv 3,3), dallo Spirito che fuga ogni dubbio e ridona vita a un corpo schiavo della morte che, da quel momento, smette di giacere in una notte spenta (in nocte caeca) cominciando ad appartenere a Dio, a essere sua proprietà (Dei esse coepere) e non più veritatis ac lucis alienus.
Lo Spirito esonda, Cipriano è ben consapevole del salto di qualità che l’azione rigeneratrice della grazia ha operato in lui, infondendo nel suo cuore il desiderio di non rimanere più invischiato nel liquame nauseabondo dei peccati, aprendosi alla fede e non essendo più vittima degli errori imputabili alla fragile umanità. E ci tiene a dirlo con forza: «È di Dio, ripeto, è di Dio tutto ciò che possiamo (compiere di buono)», mentre a noi è dato di “trattenere” la benevola irruzione dello Spirito che ha riversato nei nostri cuori l’amore di Dio, attraverso le opere buone (iusta operatione) di cui il Signore stesso si diletta e in modo che l’antico nemico, il diavolo, non ritorni a insinuarsi furtivo in un animo divenuto ora un oblectans hospitium, rifugio cioè accogliente di Colui che la tradizione avrebbe invocato come “dolce ospite dell’anima”.
Il biografo Ponzio (cf. Vita 2), a proposito, mette a fuoco due scelte che prendono forma nella vita di Cipriano all’indomani del battesimo con incredibile celerità. La prima è dominare la concupiscenza della carne con una robusta e integra castità, virtù che oggi sembra passata di moda, ma che lo stesso papa Francesco non ha mancato di proporre ai tanti giovani radunati a Torino in occasione dell’ostensione della Sacra Sindone (21 giugno 2015), additandola come «la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l’altro per il proprio piacere». La seconda scelta di Cipriano è la vendita dei suoi averi per il sostegno degli indigenti, in sfregio all’egoismo del mondo (ambitio saeculi) e allo scopo di esercitare la misericordia, più cara a Dio di molti sacrifici (cf. Os 6,6). Perché, poi, l’azione dello Spirito Santo che tanta rivoluzione operò nel giovane cartaginese non si ritenesse un privilegio per pochi, segue una descrizione pneumatologica deliziosa: Lo Spirito che con abbondanza si effonde non è limitato da alcun confine, né frenato da barriere che lo rinchiudano entro spazi ben definiti. Lo Spirito sgorga continuamente (manat iugiter), esonda abbondantemente: basta che il nostro cuore abbia sete e si apra a lui. Attingiamo, infatti, l’abbondanza della grazia in proporzione alla nostra capacità di fede (don. 5).
Questa descrizione evoca l’immagine di una fontana sorgiva zampillante pronta a dissetare un cuore riarso dal peccato come quello della Samaritana, che facilmente sta sullo sfondo di questa pagina. Qualche riga dopo, Cipriano ritorna a mettere in guardia dalla nebbia dei mali che ottenebrano il mondo pagano, esortando Donato a immaginarsi come sollevato sulla cima più alta di un monte scosceso, mentre guarda giù e si accorge dello spettacolo increscioso in cui la terra versa: «le strade piene di insidie, le tante guerre disseminate in tutto il mondo, gli spettacoli cruenti e osceni, le nefandezze delle libidini, le prostituzioni nei postriboli e quelle nascoste tra le pareti domestiche» e, infine, la corruzione di giudici e avvocati dilagante nei tribunali, visto che «si delinque in mezzo alle stesse leggi» (don. 10). Il neofita mette in guardia dalla velenosa vanità degli onori, dalla vacuità di argento e oro per chi perde sonno e vita nel terrore di vedersi sottrarre i beni accumulati e si riduce a essere «posseduto, più che a possedere ricchezze» (don. 12), infine, dalla lusinga ingannevole del potere.
In battuta finale, Cipriano ribadisce che una sola è la placida e certa tranquillitas: alzare gli occhi al cielo e godere della possibilità di accedere, sin da ora, grazie al battesimo, al donum Dei, al regalo gratuito dello Spirito Santo. Questi discende dal cielo come sole che irradia luce, giorno che illumina, fonte che sgorga, pioggia che irrora la terra, immagine tanto vicina alla “rugiada dell’Hermon” che per sant’Agostino è simbolo della grazia, da desiderare oltremodo, lasciandosi lambire da essa per vivere l’unità fraterna (cf. en. Ps. 132,11), mentre secondo Cipriano la medesima grazia serve affinché l’anima cominci a essere ciò che crede di essere, libera e degna dimora del Signore.
Che ne hai fatto del tuo battesimo? Nelle esortazioni finali, l’autore africano rinato a vita nuova, sprona il suo interlocutore a praticare la virtù, conservando integra la disciplina che era appannaggio degli ambienti militari, essendo egli già stato arruolato negli «spirituali accampamenti» (don. 15). Per custodire il rigore bisogna che rimanga assiduo nella preghiera e nella lettura continua della Sacra Scrittura, i due tempi che scandiscono il colloquio con Dio secondo la spiritualità dei Padri, in modo che nella preghiera sia l’uomo a dialogare con Dio, nella lettura della pagina sacra sia Dio a parlare con la creatura: nunc cum Deo loquere, nunc Deus tecum. Similmente, a esempio, raccomanderà Girolamo a Eustochio, nobildonna romana consacratasi al Signore: «Preghi: parli allo Sposo; leggi: egli parla a te» (ep. 22,25). In questo modo l’anima del credente, abbellita dalle virtù, diventa dimora decorosa dello Spirito di Dio (cf. 1 Cor 6,19), «vero tempio di Cristo» (Hier., ep. 58,7), circondata di eterno splendore, anima che nulla può distruggere, ma che soltanto può essere «meglio trasformata in un corpo risorto» (don. 15).
Mentre mi appresto a concludere queste semplici riflessioni su un testo “antico e sempre nuovo”, mi viene in mente l’imprescindibile necessità di prendere sul serio la vita adulta nello Spirito che il battesimo o la riscoperta e la rivitalizzazione dello stesso in età adulta, ha innescato in chi ha vissuto un incontro dalla portata sconvolgente con il Risorto come è accaduto a Cipriano. La mia mente va a Lourdes, nell’agosto 2004: Giovanni Paolo II incontra i giovani della Francia tra i quali mi trovavo, per grazia, anch’io e, con le poche ma robuste forze che ha conservato sino all’ultimo, fa risuonare in quella valle di Massabielle una domanda tuonante e penetrante che ancora oggi non ha perso in me smalto e vigore: «Tu, giovane, che cosa ne hai fatto del tuo battesimo?».
Foto di copertina: Cipriano di Cartagine (attuale Byrsa, sobborgo di Tunisi)
In PAROLE DEI PADRI, a cura di Graziano Maria Malgeri
dal n. 2/2018 della Rivista Porziuncola
Felicità Graziano Malgeri Riflessioni Rivista Porziuncola Vita
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