Nei suoi pochi scritti Chiara accenna varie volte e in diversi modi alla bellezza. Anche di lei, del resto, viene detto che era “bella di faccia”. Tuttavia la nobile figlia di Favarone è affascinata da un’altra bellezza, quella che risplende sul Volto di carne del Figlio di Dio.
Quale meravigliosa bellezza! E tuttavia, bellezza che non acceca, non stordisce, non seduce, diversa da quella così spesso inseguita dal cuore umano e brandita per catturare, facendo del mondo e degli altri il proprio bottino. Una bellezza che fa tutt’uno con la pazienza del vivere nella carne, con la purezza di un amore offerto nella più assoluta gratuità. Bellezza che ha il Volto piagato dell’Innocente, solidale nel dolore con tutte le creature dolenti, solo per un purissimo, gratuito motivo d’amore.
Chiara non potrà più distogliere lo sguardo dal volto sfigurato e bellissimo di Colui che ha voluto condividere la pena e la vergogna della nostra condizione umana fino al fallimento definitivo, la morte. In quel volto dolente ella riconosce la bellezza e la preziosità di ogni creatura, di cui Dio stesso è custode fin dall’inizio, quando nel sabato della creazione il Creatore ammira la bellezza assegnata alle sue creature in quanto “sue”.
“E Dio vide che era tutto molto bello” (Gn 1,31). Così tutta l’opera della salvezza si configura come epifania di bellezza, come restaurazione di bellezza fino all’avvento del Figlio nella carne, che guarisce e si prende cura del bisognoso per svelare la bellezza perduta e dimostrare che la creazione intera ritorna a quella bellezza dell’inizio, cui il Creatore non ha mai rinunciato.
E il Figlio patirà nella propria carne le conseguenze più spietate dell’abbruttimento del peccato, fino a restarne orribilmente sfigurato, senza sottrarsi a quest’opera di devastazione di cui il cuore umano è divenuto esperto realizzatore. Un Volto, quello del Figlio-Servo, consegnato agli insulti e agli sputi – così già il profeta l’aveva descritto – e inflessibile nella fedeltà alla missione affidatagli, quella di restaurare la bellezza delle sue creature. Una faccia “dura come pietra”, una resistenza più forte del dolore che lo affligge e che nessuna desolazione subita può compromettere, perché Egli è testimone di una parola di consolazione, di un disegno di salvezza che in lui trova obbedienza completa.
Chiara fissa stupita l’umile bellezza di quel Volto e non può fare a meno di orientare ad esso anche lo sguardo altrui. “Vedi – scrive ancora ad Agnese di Praga – che Egli per te si è fatto oggetto di disprezzo e seguilo… Guarda il tuo Sposo, il più bello tra i figli degli uomini, diventato per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso… flagellato…” (2Lag, 19-20) “Guardalo!” sembra insistere Chiara con Agnese, invitandola a rimanere in contemplazione di quel Volto, perché non sarà possibile seguire quello Sposo senza prima averlo guardato in faccia, lasciandosi trafiggere da stupore e sconcerto.
Un volto sfigurato, una carne martoriata, ed è rivelazione dell’inflessibile volontà d’amore di Colui che non indietreggia, non si sottrae alle conseguenze più penose cui l’offerta di questo amore lo espone. E il suo consegnarsi alla morte passando per l’esperienza più dura e crocifiggente è garanzia di comunione con tutte le creature, che proprio nella morte lo incontreranno.
Così la salvezza è all’opera e si compie, non calando dall’alto come un pacco-dono, bensì attraverso la carne sofferente del Figlio, l’Agnello innocente che ha valorizzato tutto il carico di dolore che l’umanità trascina con sé come conseguenza del peccato, facendone una passione d’amore. Così proprio nella sua Passione la nostra condizione umana segnata dalla sofferenza ha trovato quella vicinanza, quel contatto, quella novità che ci ha redenti.
Questa è la novità che Chiara, e prima ancora Francesco, hanno saputo cogliere in pieno. Per questo Francesco prende dimora con i lebbrosi curandone la carne disfatta; per questo Chiara si fa sollievo e rifugio delle sorelle e di quanti ricorrono a lei affaticati dalla sofferenza, fino a diventare essi stessi, e l’uno e l’altra, “esperti” nel patire nella carne, testimoni della compassione di Colui che ha condiviso con le sue creature la pazienza della carne, fino all’estremo travaglio della morte per farne una passione d’amore.
La sequela di Cristo non è che questo, la possibilità di percorrere la via di Colui che ci ha amati “sino alla fine”, possibilità di vivere nell’amore con un cuore da cui traboccano sentimenti di compassione inesauribile.
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