Ci sono alcuni dati oggettivi da sottolineare. Il primo: anche la comunità femminile di Chiara a S. Damiano si realizzò pian piano, non d’improvviso.
Alle prime cinque (Chiara, Agnese, Pacifica, Benvenuta, Balvina) solo nel 1213-14 – a quanto pare – si aggiunse Cecilia di Gualtieri Cacciaguerra. E solo nel 1215 venne la settima, Filippa di Leonardo di Gislerio.
Il secondo dato: la Forma Vitae Sororum: esigeva non solo inventiva e creatività, ma anche maturazione e sapienza che non s’improvvisano.
Un terzo dato: la responsabilità di guida spirituale di Chiara e delle Sorelle, che Francesco s’era venuto ad assumere, gli divenivano occasione e fattore di crescita e di affinamento di sensibilità religiosa. Lo spinsero a guardare sempre più a Chiara e Sorelle nella luce alta di Sposa e Spose del Signore. Lo spinsero a guardare al Vangelo al femminile, oltre la componente maschile. E quindi a trasferire e trasfigurare la relazionalità di Chiara sull’immagine verginale e sponsale di Maria.
Ancora: lo sguardo di Francesco su Maria, Madre poverella del Signore, si fece in lui più intenso per il fatto stesso che egli non aveva più accanto neppure la sua madre terrena, aveva rinunciato anche alla dolcezza di monna Pica. Così, non sappiamo quando e come, ma molto presto, nel suo rapporto filiale con Maria – che cercava in lei il segreto per vivere il Vangelo – dovette sbocciargli nel cuore e sulle labbra la tipica amatissima preghiera (la diceva quattordici volte al giorno) Santa Maria Vergine. Una Oratio dal cui caldo orizzonte gli sorge l’intuizione: era possibile vivere il Vangelo non solo alla maniera degli apostoli, ma anche e soprattutto alla maniera di Maria. La Oratio ne coglieva già gli elementi formali e teologici: “O Santa Vergine Maria, nessuna donna è simile a te fra le donne nel mondo: figlia e ancella dell’altissimo re il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo, prega per noi… presso il diletto Figlio, Signore e Maestro nostro” (FF 281).
Una preghiera che è stata, fin dal principio, l’espressione originale di contemplazione e devozione di Francesco nel suo rapporto con la Madre del Signore, ossia con colei che è la perfezione, come poi dirà, del santo Vangelo. Così, verso il 1213, queste categorie si aprirono a divenire schema di vita, che fu dato da Francesco a Chiara come direttive mariali di vita evangelica. La Forma di Vita dei frati si traduceva in Forma di Vita evangelica al modo femminile di Maria. Con qualche naturale adattamento, il testo è trasformato da Francesco in testo carismatico di vita per le Sorelle. Con esso l’indirizzo di vita delle Sorelle si precisa e specifica e trova la sua propria strada e fisionomia femminile, senza staccarsi dal carisma della medesima Fraternità dei fratelli, ponendosi ad essa come complementare.
Tutti nella Chiesa, dietro e sullo stesso Vangelo del Signore: gli uni al modo degli apostoli, le altre al modo di Maria. È questo il Vangelo plenario al femminile di Maria, che farà di Chiara una “altera Maria”.
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