Per tanti popoli il pane non è solo un cibo come tanti altri, ma elemento fondamentale, che spesso è base per una buona vita. Quando manca, invece, è la vita stessa ad essere a repentaglio e ci si trova esposti ad un’insicurezza che alimenta tensioni sociali e conflitti laceranti. Il pane diventa anche simbolo della vita stessa e delle sue relazioni fondamentali, che chiedono lode e responsabilità. Per questo la manna è chiamata “il pane dal cielo” e viene indicata tra i segni della presenza di Dio, che sosteneva la vita del popolo di Israele nel deserto ( Sal 105,40).
Pane che sostiene il cuore
Il profumo di pane evoca nella vita quotidiana un gusto di cose essenziali, saporite; per molti ricorda un contesto familiare di condivisione e di affetto, un legame alla terra madre. Non a caso, quando il Salmo 104 ringrazia il Creatore per i doni che vivificano l’essere umano ed il creato, è proprio nel pane che tale lode ha un punto culminante: «Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva per trarre cibo dalla terra, vino che allieta il cuore dell’uomo, olio che fa brillare il suo volto, e pane che sostiene il suo cuore» ( Sal 104,14-15). Il canto del salmista raccoglie in un unico movimento la lode a Dio per il dono che viene dalla terra e quella per l’operare laborioso degli esseri umani che la coltivano. C’è un forte legame tra il pane e il lavoro, tanto che alcune espressioni come “guadagnare il pane” o “portare a casa il pane” indicano l’attività lavorativa umana. La stessa dinamica si trasfigura nell’Eucaristia e si svolge nella benedizione per i frutti della terra e del nostro lavoro, così come nella loro offerta a Dio, Creatore e Padre. E la stessa dinamica chiede di essere attualizzata ogni giorno, nel ringraziamento quotidiano per il cibo che consumiamo, da soli, nelle nostre famiglie o nelle comunità.
Un pane, molti pani
Nel pane si illumina, dunque, la realtà benedetta con cui ha a che fare l’opera preziosa di chi lavora la terra. Scopriamo così che anche in tale ambito l’unico dono di vita del Creatore dà luogo ad una varietà di forme: tra le cose belle che esprimono la cultura di un territorio c’è la varietà dei campi e il mutare dei colori secondo le stagioni, oltre alla tipicità del modo di panificare. Davvero il lavoro degli esseri umani si radica in tante colture e culture diverse e lo testimonia la varietà dei grani tradizionali che stiamo riscoprendo: anch’essa contribuisce a quelle forme e quei sapori del pane, che anche nel nostro paese partecipano alla bellezza dei territori. I nostri campi accolgono il dono a partire dal seme e dai campi di grano, per coltivarlo e trasformarlo con un lavoro che non è soltanto la risposta a una necessità umana, ma anche condivisione della cura del Creato.
Pane spezzato per la fraternità e per la pace
Tenere lo sguardo sull’Eucaristia aiuta a scoprire anche la realtà di un pane che è fatto per essere spezzato e condiviso, nell’accoglienza reciproca. Si disegna qui una dinamica di convivialità fraterna che spesso si realizza anche nell’incontro tra realtà culturalmente differenti, quando attorno alla diversità condivisa dei pani si creano momenti di unità. Allora emerge con chiarezza che il pane è anche germe di pace, generatore di vita assieme. Favorisce uno stile ecumenico. La stessa condivisione presente nei racconti evangelici di moltiplicazione dei pani è il fragile punto di partenza per l’intervento del Signore: Gesù provoca il gesto generoso di pochi per saziare abbondantemente la fame di tutti. La logica accogliente della condivisione è valorizzata dalla sorprendente grazia del Signore e si rivela come sapienza, ben più lungimirante dell’egoistica chiusura su di sé. Ma gli stessi racconti narrano anche della raccolta di quanto alla fine avanza, a segnare una netta distanza dell’accoglienza del dono rispetto alla cultura dello scarto. Al contrario, le tante esperienze di recupero alimentare finalizzate alla solidarietà esprimono una felice convergenza di sostenibilità ambientale e sociale.
Pane di vita, pane di giustizia
Il pane è dunque fonte di vita, espressione di un dono nascosto che è ben più che solo pane, di una misericordia radicale, che tutto valorizza e trasforma. «Io sono il pane di vita», dirà Gesù ( Gv 6,35): una realtà così semplice ed umana giunge a comunicare il mistero della presenza divina. Lasciamo allora che la forza simbolica del pane si dispieghi in tutta la sua potenza - anche nelle pratiche che attorno ad esso ruotano perché illumini l’intera vita umana, nella sua profondità personale e nel vivere assieme. Nella preghiera cristiana del Padre nostro chiediamo a Dio di darci “il nostro pane quotidiano”: una richiesta che ciascuno non fa solo per sé, ma per tutti. Se si chiede il pane, lo si chiede per ogni uomo. Commentando questa frase papa Francesco ha affermato durante l’Udienza dello scorso 27 marzo: «Il pane che chiediamo al Signore nella preghiera è quello stesso che un giorno ci accuserà. Ci rimprovererà la poca abitudine a spezzarlo con chi ci è vicino, la poca abitudine a condividerlo. Era un pane regalato per l’umanità, e invece è stato mangiato solo da qualcuno: l’amore non può sopportare questo. Il nostro amore non può sopportarlo; e neppure l’amore di Dio può sopportare questo egoismo di non condividere il pane».
Il simbolo deve essere trasparente; occorre un pane che mantenga le promesse che porta in sé. Un pane prodotto ogni giorno rispettando la terra e i suoi frutti, valorizzandone la biodiversità e garantendo condizioni giuste ed equa remunerazione (evitando ad esempio le forme di caporalato, di “lavoro nero” o di corruzione) per chi la lavora. Un pane che, nella sua semplicità, non tradisca le attese di cibo buono, nutriente, genuino. Un pane che non può essere usato per vere e proprie guerre economiche, che i paesi economicamente forti conducono sul piano della filiera di commercializzazione, per imporre un certo tipo di produzione ai mercati più deboli. Queste condizioni richiedono molteplici attori nelle fasi progettuali, imprenditoriali, produttive, consumatori responsabili. La forza simbolica del pane corre a ritroso fino alle messi dorate e al dono della natura per la vita, entra nelle profondità dove ci raggiungono le parole di Gesù: «Io sono il pane della vita» ( Gv 6,48), che ci spalancano all’orizzonte della comunione con Lui. Dunque, il pane sia accolto in stili di vita senza spreco e senza avidità, capaci di gustarlo con gratitudine, nel segno del ringraziamento, senza le distorsioni della sua realtà. Nulla - neppure le forme della produzione industriale, inevitabilmente tecnologiche e con modi di produzione che talvolta modificano geneticamente le componenti di base - deve offuscare la realtà di un pane che nasce dalla terra e dall’amore di chi la lavora, per la buona vita di chi lo mangerà. Il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, diventi alimento di vita, di dignità e di solidarietà.
Roma, 1° maggio 2019 (san Giuseppe lavoratore)
La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
CEI Lavoro Messaggio Porziuncola Vescovi
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