O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti prego che tu mi faccia innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell'anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nell'ora della tua acerbissima passione; la seconda, che io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quell'eccessivo amore del quale tu, Figlio di Dio, eri acceso per sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori (Quarta Considerazione sulle stimmate, FF 1919).
Cari fratelli e sorelle, il Signore vi dia pace! Abbiamo ascoltato le parole accorate di una preghiera che san Francesco avrebbe pronunciato sul monte della Verna, nel giorno della festa dell'esaltazione della santa Croce dell'anno1224 poco prima di ricevere nella sua carne i segni della passione di Gesù. Sono parole che un'antica tradizione locale della Verna ha raccolto e messo per iscritto alla fine del XIV secolo nella quarta di cinque Considerazioni sulle stimmate.
Il Francesco che le pronuncia è un uomo tormentato nel corpo e nello spirito. Un uomo malato e sofferente, che vive la quotidiana ed esigente compagnia del dolore, un uomo al quale lentamente sta annebbiandosi la luce degli occhi e che una cecità incipiente sta preparando a contemplare la luminosa presenza di Dio in un inesorabile crepuscolo. È un uomo che sta sperimentando il rifiuto dei suoi fratelli e figli, un uomo solo, messo ai margini, è l'uomo della "perfetta letizia", non riconosciuto, non ammirato, non considerato dai suoi. Un uomo che sembra prepararsi a una sconfitta, la cui voce sembra diventare sempre più fioca. È il fondatore che si è dimesso dalla Carica di ministro generale, che ha consegnato la sua creatura nelle mani di altri.
È Francesco, ma sembra Gesù! È questo uomo concreto, con carne e cuore nel crogiolo della prova, a giungere alla Verna e a pronunciare la preghiera accorata che abbiamo ascoltato. Nella piccola chiesa di San Damiano, agli albori della sua conversione, in preghiera davanti alla celebre immagine del Crocifisso, Francesco aveva sentito imprimersi a tratti profondissimi la "compassione per il Crocifisso" (Vita Seconda di Tommaso da Celano, VI, 10, FF 594), un sentimento nuovo e sconvolgente, la compassione, in colui che fino ad allora aveva vissuto unicamente in funzione di sé. Alla Verna arriva questo uomo con il cuore sopraffatto dallo "struggente ricordo della passione del Signore" (Leggenda dei Tre Compagni, V, 14, FF 1412), nel sentirsi destinatario di un amore così grande e immeritato. Ma alla Verna questo amore fa un balzo in avanti, acquisisce una radicalità e una profondità inimmaginabili. Si può continuare ad amare quando il corpo è attraversato dal dolore, quando la luce degli occhi lentamente si sta affievolendo? Si può continuare ad amare quando si è non amati, quando si è rifiutati, lasciati soli? Si può continuare ad amare quando i figli e i fratelli non ti riconoscono più, non ti stimano, ti reputano inutile?
È Francesco, ma sembra Gesù! La risposta a tali domande potrebbe essere la resa, il farsi da parte per non dare più fastidio, un ordinato ritiro nella solitudine e nella preghiera per lasciare a loro stessi quei figli e quei fratelli. Ma a Francesco non basta un amore così, alla Verna Francesco chiede un di più di amore, un supplemento di amore: "Signore, dammi il tuo dolore e il tuo amore!", Dammi di continuare ad amare come te, di amare chi non mi ama, con il tuo dolore e il tuo amore, con la tua stessa passione, con la tenacia di chi non torna indietro, con la gratuità di chi mette gli altri prima di sé. Ad una solitaria vita di perfetta contemplazione, Francesco alla Verna preferisce quei fratelli, non con sopportazione, ma con la qualità dell'amore di Cristo crocifisso. I segni delle stimmate impressi sul corpo di Francesco, sono l'attestazione che Francesco ha amato come Gesù, che come Gesù egli si è lasciato ferire, aprire, per amore dei fratelli.
Quei segni raccontano che veramente si può amare oltre la soglia dell'umanamente possibile, che si può continuare ad amare chi delude, chi ferisce, chi abbandona, chi tradisce. Le stimmate di Francesco, feritoie dalle quali traspare la luce del Risorto, ci dicono che anche oggi possiamo amare come Gesù ha amato, che possiamo continuare ad amare questa vita anche se ci appare più fragile, precaria, scossa dalla paura, dall'incertezza e dalla mancanza di speranza; che possiamo amare gli altri con un amore nuovo, gratuito, che dimentica il male ricevuto, disponibile ogni volta a ricominciare, con l'amore di Gesù crocifisso. Alla vigilia della Settimana Santa chiediamo a Dio di poter amare con l'amore che leggiamo e riceviamo dalla Croce, affinché a di noi possa essere detto: È Francesco, ma sembra Gesù!
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