L’anno appena concluso ha visto, tra i vari eventi e anniversari, la celebrazione del cinquantesimo anniversario della fondazione dell’Associazione Teologica Italiana (ATI).
Nel 1966 a Roma, durante il Congresso internazionale di teologia conciliare, alcuni teologi italiani si incontrarono e decisero di dare vita all’Associazione.
Il clima conciliare, l’entusiasmo di lavorare insieme, la provocazione a ripensare la teologia all’insegna del superamento del divorzio tra fede e vita, tra teologia e pastorale, e l’esigenza di “tradurre il Concilio in italiano”, cioè di verificare e stimolare un’effettiva ricezione del Concilio Vaticano II nella teologia italiana, furono le motivazioni che portarono ad organizzare un Congresso a Napoli nel gennaio 1967, a cui furono invitati tutti i professori di teologia delle Facoltà e dei Seminari teologici italiani: vi parteciparono oltre duecento docenti.
A conclusione di quel Congresso venne fondata l’ATI, «nello spirito di servizio e di comunione indicato dal Concilio Ecumenico Vaticano II», parole ricordate da papa Francesco nel discorso rivolto ai membri dell’ATI, ricevuti in udienza il 29 dicembre scorso.
In questi cinquant’anni il Concilio ha rappresentato per l’ATI il riferimento costante sia per i temi affrontati che per il cambio di paradigma teologico in elaborazione: la sua peculiarità è sempre stata la ricerca teologica all’interno di una comunità aperta a un confronto libero e franco, che le ha permesso di diventare uno dei luoghi più importanti del fare teologia insieme. Il cinquantesimo anniversario è stato un’occasione per un bilancio e un rilancio dell’Associazione, nella prospettiva della Chiesa “in uscita”, e quindi di una teologia “in uscita”, in un momento storico di vero cambiamento d’epoca, che evidenzia una complessa crisi antropologica e socio-ambientale; e si è concluso con l’annuale corso di aggiornamento per docenti di Teologia sul tema Tempo dello Spirito. Questioni di pneumatologia (Roma 27-29 dicembre 2017).
Il corso ha avuto come momento particolarmente significativo e culminante dell’anniversario l’incontro con papa Francesco che ha rivolto ai partecipanti un importante discorso incentrato sul compito della teologia oggi nel ripensare i temi della fede alla luce delle sfide attuali.
Al discorso è seguito il saluto personale scambiato dal pontefice con tutti i teologi presenti. Ricordiamo alcuni passaggi del discorso, da riprendere e approfondire in seguito.
Innanzitutto l’invito a continuare a rimanere fedeli e ancorati, nel progresso della ricerca teologica, al Concilio e alla capacità che la Chiesa ha mostrato in quell’occasione di lasciarsi fecondare dalla perenne novità del Vangelo di Cristo: un lavoro portato avanti dall’ATI in questi decenni con congressi, corsi di aggiornamento e pubblicazioni (tra le quali il papa ha segnalato il recente poderoso lavoro di commento a tutti i documenti del Vaticano II).
Il papa ha richiamato alcuni temi fondamentali del fare teologia oggi.
Innanzitutto il fare teologia insieme come un «fatto di stile che esprime già qualcosa di essenziale della Verità al cui servizio si pone la teologia. Non si può pensare, infatti, di servire la Verità di un Dio che è Amore, eterna comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e il cui disegno salvifico è quello della comunione degli uomini con Lui e tra loro, facendolo in modo individualistico, particolaristico o, peggio ancora, in una logica competitiva».
Ricordo a questo proposito che al Seraphicum da più di un sessennio ci stiamo confrontando nel riconoscere il metodo in teologia intrinsecamente connesso alla vita teologale in comunità. La sfida che abbiamo cercato di raccogliere ed accogliere è stata ed è quella di “fare teologia in comunità” come stile teologico derivante dal logos che crea dià-logos, comunicazione e comunione (a fianco, il libro su questa esperienza).
Il teologo, immerso nella fede del popolo di Dio, è chiamato ad aiutare il credente a pervenire al credibile ut intelligibile, secondo lo stile sapienziale espresso proprio dal nostro dottore serafico san Bonaventura.
Questa è in primo luogo un’esigenza della piena umanità degli stessi credenti, perché il credere sia pienamente umano e non sfugga alla sete di coscienza e di comprensione - profonda e ampia quanto più è possibile - di ciò che crediamo.
Compito del teologo è rendere ragione della fede, che in verità è amore, e quindi tematizzare e comunicare la “gioia della verità”.
Ripensare la fede, all’interno del cambiamento culturale e della complessità odierna, significa per la teologia essere attenta al nucleo fondamentale ed essenziale del Vangelo.
La teologia è chiamata ad elaborare una vera ermeneutica evangelica, per una vitale unità del sapere nella distinzione e nel rispetto delle diverse discipline; al servizio dell’annuncio del Vultus Misericordiae, e attenta a ripensare la forma Ecclesiae perché sia sempre più conforme al Vangelo che annuncia.
Alla fine del suo discorso, papa Francesco ha richiamato il teologo a tre attenzioni:
- Fare teologia nello stupore. È lo stupore che fa conoscere, nella continua sorpresa delle novità inaudita ed unica della storia che è l’evento Gesù Cristo È dallo stupore che nasce l’incontro con Cristo.
- Fare teologia in ginocchio. Il primato dell’ascolto della Parola, della contemplazione e della progressiva introduzione nel cuore del Vangelo attraverso la preghiera e l’amicizia con Gesù Cristo.
- Fare teologia nella Chiesa, nel popolo santo di Dio che ha “il fiuto della fede”: l’ecclesialità è parte integrante dello statuto epistemologico della teologia.
di Domenico Paoletti OFMConv, docente di Teologia fondamentale e Vicario della Custodia del Sacro Convento di Assisi
per “San Bonaventura informa“ (Gennaio 2018)
Domenico Paoletti Papa Francesco SBi Teologia Vaticano II
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