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Sant’Antonio Abate, un Santo ricco di sfaccettature 2/2 05 Feb 2019

Francesco e Antonio, due santi a confronto

Continua il nostro cammino alla scoperta della figura di Sant’Antonio Abate, guidati dalla meditazione di p. Graziano Maria Malgeri. Nella prima riflessione erano emersi i temi della vigilanza e della sequela del Signore, ci rimettiamo in cammino per scoprire cos’altro ancora ha da donarci.

La paternità spirituale

In quest’opera di “vigilanza”, ovviamente, Antonio non si muove autonomamente, ma cerca sin da subito un padre spirituale che gli faccia conoscere meglio – oggi diremmo – lo “stato di vita” abbracciato, instradandolo nei suoi primi passi. Da subito si attaccò a un anziano, non tanto “ricco di anni”, ma di saggezza, e «gareggiò con lui nel bene. In un primo tempo cominciò anch’egli ad abitare nei dintorni del villaggio e di là, non appena sentiva parlare di qualcuno che era pieno di fervore, andava a cercarlo come l’ape sapiente e non faceva ritorno a casa sua prima di averlo visto e aver ricevuto una sorta di viatico per camminare nella via della virtù» (VA 3,3-4). Apprese a tal punto l’arte che, anni dopo, egli stesso divenne guida saggia e umile per quanti ricorrevano a lui: «Chi andò da lui nel dolore e non tornò nella gioia? Chi andò da lui piangendo i suoi morti e non depose il suo lutto? Chi andò da lui nella collera e non si convertì alla pazienza e all’amore?» (VA 87,3). La sua scelta vocazionale, connotata da un certo rigore ascetico, fu tuttavia sostenuta da un’ottima salute che non lo abbandonò nemmeno nella vecchiaia. «Aveva occhi sanissimi e ci vedeva bene, non gli era caduto nessun dente, erano solo consumati sotto le gengive a motivo dell’età avanzata. Mani e piedi erano sani e appariva più vivace e più forte di quanti si nutrono di cibi svariati e usano lavarsi e indossare vesti diverse» (VA 93,2). La sua vita interiore si riflette anche sul suo corpo che, per quanto provato anche a motivo delle lotte scatenate dalle passioni negative, tuttavia aveva raggiunto una pace e una floridezza che oggi risulterebbero invidiabili da molti, preoccupati di conseguire e mantenere un benessere psico-fisico che talora assume le sembianze di un idolo pernicioso. La meta più sognata, forse da tanti giovani che non scelgono il Maestro Gesù per paura di costringersi a una vita triste e decadente, è, infatti, una “vita in vacanza” come recita un motivetto in vetta alle classifiche musicali del momento. Antonio, invece, ci mostra che stare con il Signore, «sazia di beni i suoi giorni e rinnova come aquila la sua giovinezza» (cf. Sal 102(103),5) cosicché, riconciliato con Dio, con se stesso, gli altri e il mondo, quando si trova sul punto di morire, chiama gli altri monaci e lascia come testamento queste parole: «Io, me ne vado per la via dei padri. Vedo che il Signore mi chiama. Voi siate vigilanti come se cominciaste soltanto adesso a essere cristiani. Non temete i sentimenti cattivi, anche se sono forti. Non temeteli e respirate sempre Cristo» (cf. VA 91,2). Che bella immagine! Un consacrato è colui per il quale Cristo è l’aria che respira, quindi la passione che lo fa vibrare, lo mette in moto e lo disintossica dal fumo asfissiante di una vita mediocre e alienante, aprendolo alla «speranza di poter esprimere la propria originalità in un percorso verso la pienezza di vita» (Doc. prep. II).

Francesco e Antonio

Prima di concludere, mi sembra interessante leggere brevemente in parallelo la fioritura della vocazione di Antonio e quella di Francesco di Assisi, giustificato dal contesto in cui il presente articolo si colloca. Come Antonio, ascoltando una Parola, diede inizio a un movimento monastico dalle “nuove sembianze”, in modo analogo Francesco d’Assisi diede inizio al “movimento francescano”. «Un giorno, infatti, in cui in chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza (cf. Mt 10,7-10; Mc 6,8-9; Lc 9,16), subito, esultante nello Spirito Santo, esclamò: Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!”» (Celano, Vita Prima, IX, 22; FF 356). Al di là di quella che può essere l’ispirazione agiografica del Celano, obbediente a dei clichés letterari innegabili, ciò che colpisce e che resta è l’exemplum fidei, talmente alto da far venire voglia di imitare lo slancio di Antonio e del “Poverello di Assisi”, allo scopo di ottenere il centuplo promesso da Gesù, per “respirare Lui” in ogni fotogramma della vita, rispondendo con prontezza e gioia alla Sua chiamata. Del resto: ogni vita è vocazione!

 In PAROLA DEI PADRI, a cura di Graziano Maria Malgeri
dal n. 3/2018 della Rivista Porziuncola



Graziano Malgeri Paternità spirituale Rivista Porziuncola Sant'Antonio

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