«Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature, specialmente messer lo frate Sole…». Difficile non riconoscere in queste parole il Cantico delle Creature, intonato da Francesco, ormai cieco, piagato e sull’orlo del transito verso l’altra vita, per celebrare la natura, nella sua pienezza, espressione del suo amore per Gesù Cristo.
Francesco non è un vero e proprio “ecologista ante litteram”, come qualcuno vorrebbe, esagerando e forzando la storia del santo. In lui l’amore per la natura, che è comunque una costante dopo la sua conversione, nasce sempre dall’incontro con Dio è che il Creatore di ogni cosa. Nel mondo risplende ovunque la Bellezza divina e Francesco ne resta affascinato; per lui il creato non è un assoluto superiore all’uomo o un orizzonte fine a se stesso, ma il riflesso di un’armonia più alta.
Un’esperienza che lo accompagnerà giorno dopo giorno, fino a quella notte fra il 3 e il 4 ottobre del 1226, quando la sua anima sale a Dio, all’età di quarantaquattro anni. Il rapporto della Chiesa cattolica con la natura è sempre stato positivo, fino ai nostri tempi. Scriveva papa Paolo VI: «Gli animali sono la parte più piccola della Creazione divina, ma noi un giorno li rivedremo nel mistero di Cristo».
Pochi anni dopo papa Giovanni Paolo I affermava: «Uomo, vegetali, animali siamo tutti nella stessa barca; non si tocca l’uno senza che a lungo andare non si danneggi l’altro». E il suo successore, papa Giovanni Paolo II, ricordava: «È urgente seguire l’esempio del povero di Assisi e abbandonare sconsiderate forme di dominio, cattura e custodia verso tutte le creature».
Grande è l’affetto, in tutta Italia, per quel povero di Assisi che si spogliò di tutto, vita compresa, non disprezzando la morte. Egli è stato testimone di un amore profondo per Dio e i fratelli, nel pieno rispetto di tutto il creato: uccelli, lupi e gli altri suoi fratelli “minori”.
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