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Di p. Adriano, Direttore della Rivista “Porziuncola” 15 Gen 2016

I francescani nel Dna dell’Umbria

Avete presente la lunghissima doppia elica del Dna, che costituisce l’’anima’ intima dell’identità di ogni persona? Complessa, personale, unica, e che – grazie a scienziati come Watson, Crick e Dulbecco – è ovunque conosciuta e studiata come tassello fondamentale dell’organismo umano. Bene, se si potesse mappare il “Dna dell’Umbria” troveremmo di certo, e non in piccola misura, numerosi “geni” di Francesco d’Assisi.

Sì, perché quando dici Umbria non è possibile prescindere da Francesco di Pietro di Bernardone, nato l’anno 1181 circa e morto 45 anni dopo alla Porziuncola, né prescindere dal francescanesimo. Francesco e i francescani, dunque. Fin dai primi anni del Duecento sorse un popolo di fratres e pauperes Domini (frati e poveri del Signore) che, sulle orme dell’Assisiate, si moltiplicarono andando poi in ogni dove, fino ai confini del mondo. Innumerevoli sono in Umbria i borghi che conservano il ricordo del passaggio di Francesco, della sua permanenza, della sua testimonianza o di un miracolo avvenuto per intervento o intercessione dell’alter Christus (il “secondo Gesù Cristo” come era chiamato il Poverello nel Medioevo). In tutti i modi, da Amelia a Città di Castello, da Città della Pieve a Gualdo e poi Spello, Foligno, Nocera, Spoleto, Terni, Massa Martana, Todi, Perugia, Montone e Gubbio e decine di altri luoghi, primo tra tutti Assisi. I Francescani di oggi: Minori, Conventuali, Cappuccini, Clarisse, Terziari regolari e secolari, e innumerevoli denominazioni di istituti femminili, popolano la nostra splendida verde Umbria.

Ma cosa fanno, oggi, i figli e le figlie di san Francesco in Umbria? Quali presenze, quali attività, in che modo incarnano la forma di vita “inventata” dal figlio del ricco mercante di stoffe di Assisi? Sono presenti e attivi soprattutto nei numerosi santuari della città serafica: tra essi le due basiliche papali di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli, ma anche una costellazione di santuari e chiese minori in ogni angolo della regione. Poi ancora, circa 50 parrocchie nelle varie diocesi: a Terni, Perugia, Assisi, Foligno, Città di Castello, ma anche nella lussureggiante campagna della Conca ternana, nel Tuderte, nella Valle spoletana, nell’Alto Tevere, come pure nelle zone di montagna, vicino ai pochi e spesso anziani residenti. Svolgono servizio negli ospedali di Perugia, Terni, Foligno, Branca e Umbertide, come anche nel carcere di Terni. Alle porte delle “case di prima accoglienza” insegnano sulle cattedre in scuole di ogni ordine e grado. Impegnati nell’editoria, nella convegnistica, nell’evangelizzazione dei giovani, delle famiglie, dei lontani o anche accanto alle emergenze sociali come i profughi, i senza fissa dimora, le donne violate, gli zingari, i malati, gli anziani, i morenti… Nell’ambito della ricerca, dello studio e, in eremi sperduti, nella più difficile delle arti: la preghiera.

Queste le opere, almeno alcune, svolte secondo lo spirito francescano, nella fraternità. Ma più importante del fare è l’essere. L’essere nella vigna del Signore anzitutto con la propria umanità, la vicinanza lieta e la cordialità verso i molti che bussano alle porte dei luoghi dove risiedono i frati e le suore francescane. A servizio della Chiesa e delle “pecorelle” per impregnarsi del loro “odore”, come ha detto Papa Francesco con una indimenticabile immagine. E se tutto ciò non bastasse per essere riconosciuti, insieme a Benedetto, come una delle radici costitutive della regione Umbria, sarebbero tuttavia felici e fieri di essere riconosciuti come figli di Dio e di san Francesco.

Articolo pubblicato su La Voce di venerdì 11 dicembre 2015.

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Adriano Bertero Frati Umbria

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