«Ingombranti, questi martiri del Marocco?» è la domanda che fa da titolo a un articolo dello storico Pierre Moracchini uscito sull’ultimo numero de «Le Messager de Saint Antoine»; la vicenda dei cinque frati francescani uccisi a Marrakesh nel gennaio del 1220 è dolorosa, confusa, controversa, e soprattutto senza lieto fine.
Non ha la luminosa aura positiva che circonda l’incontro di Francesco con il sultano a Damietta; è una pagina che si è spesso tentati di archiviare in fretta. Vale la pena, invece — scrive lo studioso francese — cercare di capire quanto ha inciso questo episodio nell’immaginario collettivo dell’epoca attraverso un attento vaglio delle fonti, cercando di evitare il più possibile giudizi sommari ed errori di prospettiva. Di fatto, Ottone Petricchi da Stroncone, Berardo dei Leopardi da Calvi, Pietro dei Bonati da San Gemini, Adiuto e Accursio Vacutio da Narni divennero i primi martiri dell’ordine fondato dal Poverello di Assisi.
Venerati da subito come santi dai confratelli (e con un certo disappunto, sembrerebbe, da parte dello stesso Francesco che ne proibì la celebrazione e anche la lettura della Cronaca) erano nati tutti in una delle zone più frequentate dal Poverello, che transitò nella valle ternana almeno cinque volte dal 1209 al 1226, soggiornando a Piediluco, Collescipoli, Stroncone, Sant’Urbano, Calvi, Narni, San Gemini, Cesi, Acquasparta, Amelia, Lugnano, Alviano, Orvieto e Baschi.
«Il loro martirio — scrive Pierre Moracchini — è avvenuto in mezzo a due fatti che per noi, cristiani del ventunesimo secolo, appaiono come una prefigurazione di come concepiamo l’evangelizzazione oggi, vale a dire un annuncio di Gesù Cristo inseparabile da un profondo rispetto per l’altro».
Il primo fatto è l’incontro di Damietta (avvenuto nel 1219), l’altro è la redazione di una prima Regola nel 1221 — diversa da quella che seguono gli attuali ordini francescani — che contiene un capitolo, il sedicesimo, dedicato ai fratelli «che vanno dai saraceni e dagli infedeli».
Un testo simile, fa notare Pierre Moracchini, «non era mai apparso in alcuna regola religiosa ed è certamente stato ispirato dall’esperienza personale di Francesco, dal suo incontro con il sultano».
Rileggiamo qualche passaggio: «se un frate per ispirazione divina, vuole andare dai saraceni e dagli altri infedeli, vada con il permesso di un suo superiore». I fratelli che vogliono “vivere spiritualmente” possono comportarsi in due modi, prima di tutto «non facendo liti o dispute, ma essendo sottomessi ad ogni creatura umana a causa di Dio, dicendo apertamente di essere cristiani». L’altro modo è «quando piace al Signore», annunciare la Parola. Oggi, questo capitolo della prima Regola non cessa di essere letto, meditato e commentato. Secondo una fonte tarda, del xiv secolo, alla notizia della morte dei missionari Francesco avrebbe esclamato «trasportato dalla gioia del suo spirito: “adesso posso veramente dire di avere cinque fratelli”» e Chiara avrebbe detto alle consorelle di voler imitare prima possibile il loro esempio. In una cronaca più antica, scritta da Giordano da Giano, Francesco commenta la morte dei suoi confratelli con una frase più criptica: «Che ciascuno sia glorificato per la sua propria passione e non per quella degli altri», forse una velata critica “sete di martirio” fine a se stessa.
Ma se esiste un frutto innegabilmente positivo dei fatti di Marrakesh, chiosa Pierre Moracchini, «è semplicemente Antonio, il nostro Antonio. L’autore della Legenda assidua racconta lo shock che subì il canonico di santa Croce di Coimbra, che allora si chiamava ancora Fernando, all’arrivo dei corpi dei cinque martiri rimpatriati dal Marocco. Un vero colpo di fulmine. Fernando prende il nome di Antonio e diventa francescano, soprattutto per poter raggiungere prima possibile il Marocco e conquistare la palma del martirio». Dovrà seguire poi un cammino misterioso, attraversando imprevisti, contrattempi e malattie, che lo renderà disponibile a un’altra forma di vita francescana, quella che farà di lui un grande predicatore. Oggi sant’Antonio è amato e venerato in tutto il mondo: nella vecchia Europa, nel cattolicissimo Sud America ma anche tra gli indù in India e tra i musulmani in Turchia e in Libano. «Dove è passato l’uomo — amano dire con orgoglio i suoi figli spirituali — lì un’immagine di Antonio lo documenta».
Fonte: L'Osservatore Romano, di Silvia Guidi
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