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La storia di Marco Gallo 18 Lug 2022

Il desiderio di cose grandi e il nome della felicità - 1/2

La Vita è un fil d’argento, / quasi un monumento. / Leggera, / pesante, / un cavaliere errante; / Una tomba, / ed è finita. / Ma ricomincia / La vera vita.

Questa poesia, intitolata Vita, scritta da Marco Gallo appena undicenne, è come una profezia di tutta la sua esistenza terrena: un’avventura spericolata e meravigliosa, alla ricerca della felicità, del senso ultimo delle cose, della vita vera, nella quale Marco è entrato all’alba dei suoi 17 anni. La sera precedente la sua morte, ha lasciato scritto sul muro, vicino al Crocifisso: “Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?”.

“Vorrei essere sempre felice”
Nato il 7 marzo 1994, a Chiavari (GE), Marco trascorre i primi anni a Casarza Ligure, insieme a papà Antonio, ingegnere, e mamma Paola, insegnante, e alle sorelle Francesca e Veronica. A cinque anni di età si trasferisce con la famiglia ad Arese (MI) dove frequenta la scuola elementare. Nel 2007 inizia il Liceo scientifico “Don Gnocchi” a Carate Brianza, e due anni dopo, con la famiglia va a vivere a Monza. Il 5 novembre 2011, mentre si reca a scuola con la sua motocicletta, perde la vita in uno scontro con un’auto.

“Marco era un bambino vivacissimo – racconta Nadina, la nonna paterna –, però sempre buono; si rattristava se qualcuno non gli era amico, perché voleva essere amico di tutti. Era convinto di avere sempre meno amici di come era in realtà. Era così affettuoso! Non c’è stata volta che sia andato via senza urlarmi: ‘Nonna, ti voglio bene!’. Perché lui era sempre di corsa”. “Era un vulcano”, dice la mamma.

È appassionato di sport, per il calcio prima e poi per l’atletica, nella quale consegue risultati eccellenti (a 11 anni è campione provinciale esordienti per il salto in lungo e disputerà gare nazionali a Roma). In montagna coinvolge gli amici in camminate avventurose (ogni anno, la sua memoria trascina ancora oggi centinaia di giovani in pellegrinaggio al santuario della Madonna sulla cima del Montallegro per l’anniversario della sua morte!). Fin da piccolo ha un atteggiamento di meraviglia nei confronti della natura, acuto osservatore delle piante, ma anche inventore di giochi, costruisce con i lego e in giardino convince il papà a realizzare una casetta sopra un pino. Ama fare scherzi domestici agli amici, che coinvolge con il suo entusiasmo; con la sua vivacità e intelligenza imprevedibili mette alla prova la tranquillità della famiglia, come quando con il suo scooter viaggia dalla Liguria verso Monza – telefonando al padre dopo aver smarrito la strada di casa –, o quando vende cellulari americani o crea piccoli esplosivi… ma lui il vero fuoco ce l’ha nell’anima e non lo fa cessare di cercare la persona di Cristo.

Scrive versi poetici; il suo dono – dice Luca M., un compagno di classe – era “la semplicità, mai banalità, con cui riusciva a cogliere la bellezza di ogni cosa”. “Parlava tantissimo – afferma Martina, amica di famiglia – con la sua caratteristica erre moscia, ma aveva una capacità comunicativa particolare: aveva già da piccolo un interesse così sfrenato per la realtà, che comunicava […] servendosi della realtà stessa”. Giulia, amica della sorella Francesca, così lo descrive: “Era impossibile non rimanere contagiati o almeno toccati dalla sua vitalità, anche perché lui non lasciava scampo: se interessato a qualcosa doveva subito trovare un interlocutore per condividere questa sua vitalità, questa febbre di vita”.

Luca V., un compagno di classe, partecipando alla Messa di suffragio, rimane basito all’udire il sacerdote che, nell’omelia, afferma che Marco era giunto a perfezione in breve tempo: “La prima cosa che mi è venuta in mente era questa: com’è possibile dire che Gallo era perfetto? Proprio Gallo? La sua imperfezione coincideva con lui stesso! Non poteva essere perfetto quel Marco Gallo che si sentiva dire dalla Balza: ‘Gallo, non scrivere sul banco e soprattutto dopo non leccarlo per pulirlo!’. Io e Cereda, l’anno scorso, siamo arrivati addirittura a creare una raccolta dei suoi strafalcioni, e ve ne erano di tutti i tipi […].

Ma poi ho ripensato a quando ho conosciuto davvero Gallo, ovvero in gita a Vicenza l’anno scorso. Tutto in una chiacchierata tra compagni prima di addormentarci. Lì ho capito che quella perfezione di cui dubitavo, in realtà esisteva veramente. Quella sera ci aveva parlato della fede, cercando di convincere Meno a provare a seguire la strada che anche lui aveva seguito […]. E nel farlo parlava con un entusiasmo che sinceramente non ho mai visto in nessuno. Come se ci stesse raccontando della cosa più bella del mondo e volesse rendercene partecipi!”.

Sono tante e davvero sorprendenti le testimonianze di amici, parenti, educatori – raccolte insieme ai suoi scritti nel testo che ne racconta in modo avvincente l’itinerario di vita (Marco Gallo. Anche i sassi si sarebbero messi a saltellare, Itaca, 2016) – che descrivono in numerosi aneddoti di vita la sua vitalità prorompente, il suo incessante desiderio di esplorare la realtà, la sua vivacità e irrequietezza, la sua trasparenza e lealtà con se stesso e con gli altri.

“Sento il bisogno incontenibile di dare un significato, anche ad una sola giornata”
La fede lo aveva accompagnato fin dagli anni dell’infanzia, i suoi erano credenti, legati al movimento di Comunione e Liberazione, gli ambienti e le persone con cui erano entrati in contatto gli avevano trasmesso principi e valori, che lui aveva assimilato. Al termine dell’asilo, trascrivendo una lista di parole, d’improvviso si gira verso la mamma e dice: “Scrivo prima Dio, perché è il Creatore”. A nove anni, commentando le parabole della misericordia, scrive: “Quella pecora e quel figlio siamo noi, perché tutti noi siamo peccatori e abbiamo bisogno della meta. Ma come? Solo per una?!? Solo per una pecorella smarrita!?!”. E considerando la vita di S. Francesco Saverio annota: “Aiutami Signore a trovare quel momento, ad ascoltare quella domanda che mi faccia capire qual è la cosa che più conta nella vita”.

Come un bimbo Marco sta alla ricerca della ragione ultima delle cose, pone continui “perché” e chi l’ha conosciuto sa quanto fosse pressante, non solo nel meravigliarsi ed interrogarsi davanti alla realtà, ma anche nell’interpellare gli amici. A loro pone continue domande, assetato di sapere e soprattutto capire. È diretto e soprattutto sincero, onesto nel porsi domande, senza peli sulla lingua, quando esprime i suoi dubbi o la sua opinione diversa e non è soddisfatto per le risposte scontate o diplomatiche che riceve, radicale nel voler arrivare al fondo della questione. Al liceo scientifico, che frequenta con buoni risultati, non trova quello che cerca. “Mi prosciugò per tutto un viaggio in macchina, una sera piovosa di febbraio – racconta Giulia –, riempiendomi di domande in merito a come diavolo potessi essere felice a scuola […]. Questo soprattutto mi ha sempre positivamente sconcertato di lui: il pressante, spasmodico bisogno di un orizzonte ultimo che rendesse vivibile l’istante, e la sua disarmante, umile curiosità nei confronti di chiunque poteva in qualche modo aiutarlo a camminare, che si concretizzava in quel fuoco serrato di domande, come il fuoco di un cecchino, che, spesso, si voleva solo evitare, tanto era martellante”. (continua)

In DIRE CRISTO, di Massimo Reschiglian e Maria Letizia Tomassoni
dal n. 4/2021 della Rivista Porziuncola



Giovani Massimo Reschiglian Rivista Porziuncola Testimonianza

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