L’Italia è tutta zona rossa. Si sono applicate misure analoghe a quelle già assunte dal governo cinese. Finalmente, dice qualcuno. I risultati ottenuti dalla Cina a Wuhan sono incoraggianti. Si sono, infatti, fermati i contagi. Si sono ristretti gli spazi. Si deve stare a casa. Non si può più circolare. Si è, dunque, accorciato lo spazio. In compenso, però, si è allungato il tempo. È diminuita e si è quasi estinta la velocità, ma stiamo recuperando il senso dello stare, il significato del permanere, del fermarsi. Il tempo sembra perciò averla vinta sullo spazio. Abbiamo verificato i risultati deleteri di una certa globalizzazione, ci stiamo forse avviando a riscoprire il senso della comunità, delle relazioni, specie dentro il contesto domestico.
Il tempo, l‘otium già conosciuto dai romani è, invero, un’opportunità essenziale. Lasciare la città dei traffici, del negotium per andare in campagna, in villa, a praticare l’otium della riflessione, del passeggio e della solitudine era ritenuto il privilegio degli intellettuali, dei filosofi. L’architettura stessa della villa, quasi un chiostro per la passeggiata meditativa, precorre quella dei monasteri e dei conventi. Anche i grandi monasteri dell’epoca medievale rappresentano una sorta di restringimento dello spazio, non più praticabile per la mancanza delle vie di comunicazione. Non c’era il virus, all’epoca, ma si poteva morire per l’assalto di briganti; si poteva morire di carestia se non ci fosse stata una comunità monastica che si dedicava alla coltivazione dei terreni, alla bonifica delle paludi. Sì, bonifica delle paludi, che erano i generatori di pestilenze del Medioevo.
Oltre il fare
Ma i monaci che avevano scelto l’abitare il territorio anziché l’occupazione dello spazio, avevano compreso il segreto del tempo: non solo lavoro, ma orazione. Non solo fare, ma contemplare. Non muoversi, ma stare. E anche i frati mendicanti, domenicani e francescani che invece scelgono l’andare, non dimenticano, specie i francescani, lo stare negli eremi. I domenicani preferiscono le biblioteche, altra forma di contemplazione, che richiede però ugualmente lo stare. L’andare di francescani e domenicani non significa però occupare, accaparrare, controllare gli spazi, perché essenziale per essi è la scelta del distacco dai beni. Il loro spazio non è la terra, ma già il cielo. Perciò con essi ricomincia la missione: andare verso i confini della terra, solcare gli oceani, incontrare. Fare di tutti i popoli una sola famiglia. Non una massa incolore, ma una famiglia, una fraternità universale. Si chiamano infatti fratres. Per loro non c’è più alcuna distinzione tra l’ora e il labora, perché l’intera vita è una liturgia, l’andare è uno stare e lo stare è un andare interiore, un pellegrinaggio della mente.
La stabilitas, che privilegia lo spaziare della mente, come nei monasteri di clausura, che in questa emergenza sanitaria sono, paradossalmente, il luogo più sicuro. Se allora l’imposizione diventasse una scelta? Se la costrizione potesse essere una scoperta? Si parla di atto dimostrativo della Cina: da Paese propagatore dell’epidemia virale a Paese virtuoso. La Cina, che aveva già dimostrato i vantaggi del sistema autoritario per lo sviluppo economico, oggi si dimostra ancora vincente, anche contro la crisi sanitaria. Del resto, anche in campo ambientale, la Cina ha dato lezioni all’intero Occidente. Ma a noi, è dato derogare alla democrazia per ottenere gli stessi risultati della Cina? Applicando le sue stesse misure, abbiamo forse rinnegato le nostre origini democratiche? Le trasgressioni delle norme, compiute in nome di una presunta libertà individuale, sono forse plausibili?
Per una nuova creatività
C’è una sola possibilità per operare una limitazione degli spazi senza mettere a rischio la democrazia. Occorre una creatività intellettuale, capace di dimostrare la superiorità del tempo sullo spazio. Occorre un’invettiva umanistica, per dimostrare l’esistenza di spazi nuovi, generati dentro un tempo dilatato. Occorre dimostrare la plausibilità e il significato di uno spazio interiore. Dimostrare la pertinenza e il valore di uno spazio comunitario. Dimostrare la bellezza e la profondità di uno spazio relazionale. Dimostrare l’estasi e lo stupore di uno spazio verticale e nello stesso tempo profondo, capace di generale liberta, creatività, orizzonti futuri.
È oltremodo significativo che questa crisi scoppi da noi in primavera, simbolo delle rivoluzioni, emblema di un nuovo inizio, rappresentazione della libertà democratica. Forse che un’esperienza nuova dell’abitare il tempo potrà generare uno spazio nuovo? Una libertà nuova, una nuova cittadinanza, un mondo nuovo? La primavera che è l’inizio di un tempo nuovo, dopo la pausa invernale, potrà essere anche un nuovo inizio? Dipenderà dalla qualità del nostro pensare, cioè del nostro stare dentro la fecondità dell’otium, tempo dilatato!
( * frate minore, Pontificia Università Antonianum – Roma)
Fonte: TerraSanta.net Accesso 3.04.2020
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