È noto che Camilla, figlia di Giulio Cesare da Varano, studiò il latino alla corte di Camerino, ma finora si conoscevano solo poche sue opere latine e ne era incerta l’attribuzione. Il ritrovamento da parte di Massimo Reschiglian del manoscritto 1130 della Biblioteca universitaria di Padova col testo latino del Trattato della purità del cuore ha permesso di gettare nuova luce sulla cultura umanistica della clarissa.
Nell’edizione appena apparsa, per cura di chi scrive, nella collana La mistica cristiana tra Oriente e Occidente delle Edizioni del Galluzzo di Firenze, il testo latino, intitolato De puritate cordis, è pubblicato a fronte del testo volgare, secondo la versione fornita dal manoscritto m.r. VI.1.25 della Biblioteca civica Berio di Genova.
Questo codice, riscoperto alcuni anni fa da Claudia Benvestito, trasmette l’opera sotto il titolo De perfectione religiosorum dopo i Dolori mentali e le Istruzioni al discepolo e prima di una breve e inedita meditazione sul Cantico dei Cantici, dovuta probabilmente alla stessa autrice. Diversamente dall’autobiografia o dai Dolori mentali, il Trattato della purità non ebbe un’ampia diffusione e, sino all’ultima ripresa degli studi, erano noti solo tre manoscritti tardivi legati all’ambiente oratoriano, nei quali compariva sempre collocato tra i Dolori mentali e un compendio delle Istruzioni al discepolo.
I due codici recentemente scoperti, entrambi del XVI secolo, hanno reso possibile una revisione del testo su una base più sicura e consentono di leggerlo in una versione più completa e vicina all’originale. Il manoscritto di Padova, inoltre, è il solo a riportare il nome del destinatario, fratem Maurum Monachum ordinis montis Oliveti, e a presentare una nota di possesso di un religioso dell’abbazia benedettina di Praglia, vicino a Padova. Questo fatto non stupisce dal momento che Antonio da Segovia, padre spirituale della santa dal 1492 al 1496 e copista di uno dei principali testimoni delle opere della Varano, fu a Padova nell’abbazia di San Benedetto Novello dal 1504 al 1505.
La redazione latina dell’opera risulta più ampia di quella volgare testimoniata dai tre codici «gemelli» oratoriani, ma affine a quella del codice genovese: pare dunque trattarsi della rivelazione di un testo più antico, che avrebbe poi subito in ambito oratoriano un procedimento di riduzione, analogamente a quanto accaduto per le Istruzioni al discepolo, edite nella stessa collana per cura di Reschiglian. Risulta notevole anche l’uso della lingua latina da parte della clarissa, aspetto che può confermare l’attribuzione a santa Battista della lettera latina a Giovanni da Fano, datata 1521. Questa lettera, annoverata dai più tra gli scritti apocrifi, presenta molti elementi in comune col Trattato della purità del cuore, benché la datazione di quest’ultima opera, che si riteneva contemporanea alla lettera, vada anticipata al 1499-1501.
Durante questi anni la clarissa scrisse le Istruzioni al discepolo, un’opera molto affine al De puritate, a partire dal comune carattere didattico: si tratta in entrambi i casi di «comunicazione sapienziale», nella quale il racconto autobiografico diviene insegnamento, rientrando perfettamente nella linea della letteratura biblica sapienziale. Anche a livello contenutistico si nota una continuità tra le due opere: nel «settimo ricordo» delle Istruzioni al discepolo l’autrice afferma di non aver mai cercato altro che «conoscere Dio e se stessa» e ricorda come «nella sua mentale oratione davanti alla immagine del crocifixo» comprese di dover adorare la Trinità e riconoscere in sé un’altra «trinità» costituita da nichilità, stoltezza e odio.
Anche nel trattato della Purità del cuore emerge il tema della duplice conoscenza di Dio e di se stessi, seguendo il modello della Terza delle considerazioni sulle stimmate di san Francesco, come pure l’accenno alla preghiera fatta davanti all’immagine del crocifisso. Nel «nono ricordo» sembra di scorgere un riferimento esplicito al tema sviluppato nel trattato, in quanto l’autrice afferma di avere trovato una via più semplice rispetto a digiuni e discipline per arrivare alla «monditia del quore nella quale si possiede la consumata perfectione», ovvero «lo spesso pensare a.d Dio».
La santa di Camerino si dimostra molto attenta agli scritti prodotti in seno al proprio ordine e non mancano quindi anche riferimenti a testi agiografici inerenti a san Francesco, tuttavia è di particolare interesse il fatto che Battista si rivolga a santa Chiara solo nel testimone latino dell’opera, in un passo che non trova riscontro negli altri testimoni, dove afferma che è stato grazie alla memoria dei propri peccati che Chiara ha reso gradito a Dio il proprio cuore.
Come ulteriore traccia dell’autenticità del testo latino si può infine citare l’ossimoro presente nel solo manoscritto padovano: «Tu deducis ad inferos et reducis atque percutiendo nostras sanas infirmitates!», del tutto in linea con lo stile della santa, la quale ad apertura della Vita spirituale afferma di voler narrare la storia della sua «infelicissima felicità».
Nel De puritate, come pure nel Felice transito del beato Pietro da Mogliano, pubblicato a cura di Adriano Gattucci nella stessa collana, Battista segue di fatto lo schema ternario francescano: le parti principali, dedicate rispettivamente alla Puritas mentis, all’Amorosa crucifixio e alla Voluntaria oblatio, sono a loro volta suddivise, come si soleva fare nella predicazione. Tutta l’opera è inoltre intessuta di citazioni tratte dal Cantico dei Cantici, libro biblico che ha rappresentato per secoli un modello di ascesa a Dio che ognuno poteva ampliare col «libro» della propria esperienza.
L’edizione critica, che pone a fronte i testi offerti dai due nuovi testimoni dell’opera e presenta la meditazione sul Cantico in appendice, mostra chiaramente come la monaca di Camerino ha saputo coniugare la propria raffinata cultura umanistica con le più profonde tematiche dell’osservanza francescana, seguendo in questo le orme di Caterina Vigri, un’altra clarissa passata «dalla corte al chiostro», grazie alla quale Camilla aveva imparato i «vocaboli spirituali» mediante i quali esprimere la propria straordinaria esperienza di fede.
Fonte: L’Osservatore Romano
Camilla Battista da Varano Francescanesimo
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