Prosegue il testo dell’intervento di S.E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia per la vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia, sul tema “La famiglia, prima comunità cristiana, scuola di vita e di fede dei giovani”. Leggi la prima e la seconda parte dell’intervento.
La profezia di una Chiesa famigliare in un mondo di soli
Oggi, purtroppo, vi è come un fossato tra le famiglie e la parrocchia. Si potrebbe dire che le famiglie sono troppo poco ecclesiali (perché facilmente si rinchiudono in sé stesse) e le comunità cristiane poco famigliari (perché appesantite dalla burocratizzazione, o ingrigite dal funzionalismo). È l’utopia di un nuovo modo di vivere, non chiuso in sé stesso ma aperto a tutti e particolarmente ai poveri. In un tale orizzonte diviene chiara la responsabilità di accogliere coloro che non hanno famiglia, le persone sole e deboli perché facciano parte della più larga famiglia di Dio. Ed è in questo orizzonte che si deve porre anche il tema dei divorziati risposati o di quelle famiglie imperfette e in fieri. Verso costoro deve affrettarsi il nostro passo, irrobustirsi il nostro ascolto, intensificarsi la nostra compagnia. Va colmato il divario tra famiglie e comunità cristiane.
Famiglia e comunità cristiana debbono trovare la loro nuova alleanza, non per rinchiudersi nel loro circolo ma per fermentare in maniera “famigliare” l’intera società. Nello scenario di un mondo segnato dalla tecnocrazia economica e dalla subordinazione dell’etica alla logica del profitto, è strategico riproporre il “Vangelo della famiglia” come forza di umanesimo. La famiglia – una profezia di amore in un mondo di soli – decide dell’abitabilità della terra, della trasmissione della vita, dei legami nella società. Il Vaticano II afferma con chiarezza la vocazione della Chiesa, delle comunità cristiane, delle famiglie: essere segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano. È questo l’amore che deve abitare nella famiglia e nella Chiesa.
L’amore e la generatività
L’Esortazione Apostolica offre inoltre numerose indicazioni che possiamo chiamare pastorali, soprattutto a partire dai capitoli IV e V. In essi si declinano le due dimensioni che sostanziano il matrimonio e la famiglia: ossia il legame d’amore tra un uomo e una donna e la fecondità generatrice che ne consegue. E qui appare una novità singolare: il Papa non si ferma, come accade nella più diffusa catechesi, a commentare la pur fondamentale lezione del Cantico dei Cantici, che rimane certamente un gioiello della rivelazione biblica dell’amore dell’uomo e della donna. Commenta piuttosto e in maniera del tutto originale la fenomenologia dell’amore ispirato da Dio nello splendido inno paolino 1Corinzi 13. Il Papa parla dell’amore in chiave tutt’altro che mistica e romantica. Appare evidente che l’amore di cui si parla è pieno di concretezza e di dialettica, di bellezza e di sacrificio, di vulnerabilità e di tenacia (l’amore tutto sopporta, tutto spera, tutto crede, tutto perdona, non cede mai…). Insomma, l’amore di Dio è così, sembra affermare il Papa.
Siamo lontani da quell’individualismo che chiude l’amore nell’ossessione possessiva “a due” che peraltro mette a rischio la “letizia” del legame coniugale e famigliare. Il lessico famigliare dell’amore, nell’interpretazione del Papa, non è povero di passione, è ricco di generazione. Per questo include serenamente la libertà di pensare e di apprezzare l’intimità sessuale dei coniugi come un grande dono di Dio per l’uomo e la donna. Potremmo dire che – anche in questo – il testo papale porta a pienezza le suggestioni presenti nella Gaudium et Spes che cita esplicitamente: “Il matrimonio è in primo luogo una «intima comunità di vita e di amore coniugale» che costituisce un bene per gli stessi sposi, e la sessualità ‘è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna’” (n.80).
Il Papa porta l’attenzione sull’altra dimensione dell’amore coniugale: quella fecondità e della generatività. Si parla in maniera spiritualmente e psicologicamente profonda dell’accogliere una nuova vita, dell’attesa nella gravidanza, dell’amore di madre e di padre, della presenza dei nonni. Ma anche della fecondità allargata, dell’adozione, dell’accoglienza e del contributo delle famiglie a promuovere una “cultura dell’incontro”, della vita nella famiglia in senso ampio, con la presenza di zii, cugini, parenti, amici. Il Papa sottolinea la inevitabile dimensione sociale del sacramento del matrimonio (n.186), al cui interno si declina sia il ruolo specifico del rapporto tra giovani e anziani, sia la relazione tra fratelli e sorelle come tirocinio di crescita nella relazione con gli altri. Il testo chiarisce che il figlio non è un oggetto del desiderio, ma un progetto di consegna della vita.
Di qui segue il tema del rapporto fra le generazioni, che la frammentazione e la liquidità di eros mettono a rischio. Il legame fra le generazioni è il luogo dell’eredità che deve essere fatta fruttare. Questo è il grande compito affidato alla famiglia che deve custodire la tradizione della vita senza imprigionarla, provvedere valore aggiunto al futuro senza mortificarlo. Tale dinamismo è impossibile se la famiglia perde il suo ruolo sociale di stabilità e di propulsività degli affetti.
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