È risaputo che viviamo nell’era della massificazione delle immagini. In nessuna epoca precedente della storia sono state prodotte così tante immagini, e inoltre nessun’altra, come la nostra, ha assistito alla loro radicale banalizzazione. Invece d’immagini uniche e autentiche, abbiamo prodotti realizzati in serie, selfie fabbricati in un istante e in un istante pronte a essere divorati dall’oblio. Il filosofo Walter Benjamin ha parlato giustamente di “perdita dell’aura”, cioè l’immagine smette di costituire “l’apparizione unica di una cosa distante” e si fissa sulla sonnambula ripetizione di un déjà vu. Per questo il commosso consenso attorno all’immagine di Papa Francesco in una Piazza san Pietro vuota è qualcosa che fa pensare, fuori e dentro lo spazio ecclesiastico.
A un anno di distanza, vale la pena rivisitare quell’immagine, che in realtà non ha mai smesso di essere presente, e domandarsi da dove proviene il suo eccezionale potere iconico. Perché è quell’immagine che è rimasta a rappresentare ancora quello che stiamo vivendo e non un’altra qualunque? E che cosa ci rivela di sé stessa o che cosa c’insegna su noi stessi? Cercando di sintetizzare ciò che meriterebbe sicuramente una riflessione più ampia, indicherei quattro ragioni.
L’audacia di abitare la vulnerabilità come luogo dell’esperienza umana e credente. È vero che la cultura dominante, il mainstream modellato come un automatismo dalle nostre società consumistiche, ha fatto della vulnerabilità una specie di tabù. La fragilità è soggetta a un occultamento. E a forza di vietarci l’incontro con la sofferenza umana sappiamo riconoscerci sempre meno in essa, o partiamo da essa per approfondire il senso della nostra comune umanità. Ma questo non è solo un problema della cultura odierna. Anche la performance religiosa ha qualche difficoltà a integrare ciò che Michel de Certeau chiamava la “debolezza di credere”. L’immagine che si tramette è più quella di un’operazione compiuta a partire da un copione che non quella della spoliazione e dell’apertura per realizzare una “strada non tracciata”. Papa Francesco ha osato abitare la vulnerabilità. Non si è limitato a parlare della vulnerabilità del mondo, come se lui ne fosse esente. Nella misura in cui ha accettato di esporsi come uno qualunque, è emerso come una figura sacerdotale capace di rappresentare tutti. (continua a leggere su vaticannews.va)
COVID-19 Papa Francesco Preghiera
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