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Fedele da Fanna, Bernardino da Portogruaro e l’edizione delle opere di san Bonaventura 14 Nov 2017

L’avventura d’un povero francescano

«Il sottoscritto, il quale già da sei anni viaggia e lavora coi suoi compagni (…) nelle tante biblioteche d’Europa, che possiedono codici manoscritti, prega, a nome del suo Ordine, Vostra Maestà Imperiale ed Apostolica, la quale porta così degnamente il glorioso nome del Santo Istitutore dei Francescani, a degnarsi di prendere sotto la sua protezione questa colossale Impresa Scientifica Francescana, la quale avrà una salutare influenza anche negli Stati di Vostra Maestà; e di volere presentemente sostenerla con un sussidio pecuniario, onde si possa continuare i viaggi ed acquistare una casa nella quale i religiosi collaboratori, che ora sono dispersi a lavorare in varie biblioteche d’Europa, possano radunarsi per incominciare la pubblicazione del grande materiale raccolto».

A rivolgersi così all’imperatore Francesco Giuseppe, scrivendo da Vienna il 17 luglio 1876, era un umile frate, il francescano friulano Fedele da Fanna (1838-1881). Nato da una famiglia poverissima, non esitò a mendicare aiuto e sostegno da chi sino a dieci anni prima era stato il suo imperatore. Fedele, il ministro generale dell’Ordine (1869-1889) Bernardino da Portogruaro e un esiguo manipolo di Minori Riformati della Provincia Veneta furono gli artefici e gli eroi di una grande avventura erudita dell’Ottocento, l’edizione critica delle opere di san Bonaventura, ora soggetto di un prezioso volume di Barbara Faes che raccoglie sette articoli usciti fra il 2009 e il 2015 (Bonaventura da Bagnoregio. Un itinerario tra edizioni, ristampe e traduzioni, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2017, Fonti e ricerche 26, pagine 221, euro 18).

In principio vi era il bisogno di un Ordine, spogliato e angariato dalle soppressioni ottocentesche, di ritrovare le sue radici spirituali e di rifondare la formazione culturale dei suoi membri. Già da ministro provinciale (1855-1861) Bernardino aveva individuato la fonte negli scritti di Bonaventura, considerato il secondo fondatore dell’Ordine. Promosse studi e ristampe, mentre i suoi frati si dedicarono alla compilazione di lessici, tavole riassuntive, schemi, tesi, sommari: strumenti per appropriarsi, “ruminandola”, di una sostanza ricca ma non facile. Primo fra tutti, a lungo solo, Fedele comprese però che sintesi e commenti erano inutili se non fossero stati fondati su testi affidabili. E con l’appoggio di Bernardino dedicò la sua vita all’edizione critica degli scritti di Bonaventura, il «lavoro radicale» di cui scrisse al suo «superiore, consigliere e paterno amico» il 12 maggio 1874.

Nel febbraio 1870 Bernardino inviò Fedele a Roma per dirigere quella che inizialmente doveva essere una ristampa delle opere bonaventuriane, per raccogliere e magari migliorare le edizioni precedenti (quanto in Francia aveva fatto per i Padri Jacques Paul Migne). Poco per volta Fedele impresse all’impresa un profilo totalmente diverso da quello iniziale. Nel 1877 il ministro generale riuscì a comprare una «malconcia villa nobiliare» a Quaracchi, nei pressi di Firenze. Lì saranno ospitati la biblioteca, la tipografia, gli editori stessi che porteranno alla luce, fra il 1882 e il 1902, i dieci volumi degli Opera omnia bonaventuriani e poi, sino al 1971, numerosi altri testi della tradizione francescana, da Alessandro di Hales a Giovanni Duns Scoto, da Pietro di Giovanni Olivi a Bernardino da Siena (il lavoro è poi proseguito, prima a Grottaferrata e ora a sant’Isidoro, nel convento romano che fu di Luke Wadding, il seicentesco annalista irlandese dell’Ordine).

Fedele non vedrà tutto questo perché scomparve prima, poco più che quarantenne, consumato dal lavoro e dai viaggi (visitò più di quattrocento biblioteche, praticamente in tutti i paesi europei), sfinito «dalla stanchezza, dall’ansia di finire, dalla tisi», ma anche logorato dalla solitudine e dalle incomprensioni, persino all’interno dell’Ordine. La sua fu un’immolazione consapevole. «Per fare bene gli offici affidatimi — scrisse da Venezia a Bernardino il 28 aprile 1874 —, ho sempre lavorato come se fossi stato condannato ai lavori forzati». D’altra parte, «s’io amassi gli allori del mondo — scrisse ancora a Bernardino il 12 maggio 1874 — avrei preferito di compiere il mio lavoro sul Breviloquio e di fare altre cose ancora più facili, al consumar la vita per l’edizione di tutte le opere di S. Bonaventura. Ma io preferii questa al lavoro sul Breviloquio (...), in vista del maggior bisogno e del maggior bene, e senza punto ignorarne le difficoltà e i maggiori sacrifici ch’avrei dovuto fare. Fare un’edizione come aveva ideato S. P. Rev.ma sarebbe stata una cosa meschinissima, non corrispondente al bisogno, poco degna, per non dire indegna, di un Ordine».

«I sacrifici, le pene e le difficoltà» affrontati da Fedele emergono nitidamente dai documenti, soprattutto corrispondenze, che Faes studia e porta alla luce dagli archivi della Curia provinciale dell’Ordine ora a Marghera (Venezia), della Provincia veneta di san Francesco a san Michele in Isola (Venezia), dall’Archivio storico generale dell’Ordine a Roma. I pericoli affrontati a Parigi, ove i francescani furono indotti dal clima ostile a vestire abiti secolari, la fame, il freddo e la povertà patiti a Londra si imprimono nella memoria del lettore: itinera eruditi per biblioteche che divennero prove ascetiche. Così colpisce la partecipazione appassionata dei frati agli eventi storici ed ecclesiali del loro tempo. Per difendere con gli scritti bonaventuriani l’infallibilità papale, nell’ambito dei dibattiti conciliari, Fedele pubblicò nel 1870 un opuscolo e nel maggio 1871 non lesinò un attacco ad ambienti cattolico-liberali di Vicenza con l’Urgente escursione contro una mano di ausiliari massonici. Senza derogare all’impostazione intransigente, nel disorientamento seguito alla presa di Roma del settembre 1870, colse però l’occasione per approfondire la trasformazione dell’iniziativa di Bernardino, da ristampa a nuova edizione critica delle opere di Bonaventura.

Alle spalle di questa esperienza ascetica e religiosa, prima che filologica e scientifica, vi è una concezione austera, radicalmente evangelica e perciò autenticamente francescana. «Non s’insinui mai fra noi — aveva scritto Bernardino in una circolare dalla Verna il 24 giugno 1856 — quello spirito di novità, di raffinamento e di progresso, ch’è proprio del secolo instabile e capriccioso; ma secondo l’esempio e l’educazione dataci da’ nostri Padri, serbiamo sempre nel vestimento, nella mensa, nella cella, il nostro esteriore povero e vile; se vi ha da essere novità e raffinamento e progresso, non sia che nell’adempiere con maggior perfezione e coi mezzi più propri i nostri doveri cristiani e religiosi. Sia inoltre da noi esecrato sempre quello spirito stolto d’ambizione, e quel desiderio disordinato delle proprie comodità che, per quanto ci potei meditar sopra, ho trovato essere le due principali e funestissime radici dello spaventoso decadimento di tante Provincie, un giorno santissime. La nostra ambizione sia di servire a Dio, alla Religione, alle anime, senza sperarne altra mercede di titoli e di posti che in paradiso». Se non si pone mente a questo sfondo, nulla si comprende di quella vicenda.

Chi oggi legge Bonaventura, nell’edizione di Quaracchi o nelle traduzioni che da essa dipendono, deve pensare con gratitudine a quei frati. Alle loro fatiche, così lontane dalle comodità della nostra epoca digitale e iper-tecnologica, allude anche la copertina del volume, un acquerello di un altro francescano veneto, Ignazio Damini (1939-2013). Vi è raffigurato «il lento viaggio di un frate che attraversa la laguna per raggiungere una meta: una piccola isola con una chiesa e un convento circondato da cipressi». L’isola è San Francesco del Deserto, che fu a lungo luogo di ritiro e sede del noviziato dei Minori Riformati della Provincia Veneta; la chiesa ospita la tomba di Bernardino. «Il viaggio dello sconosciuto frate è un itinerario breve, data l’esigua distanza dell’isola dalla terraferma, ma richiede fatica: esige concentrazione e attenzione per evitare secche, gorghi, alghe e altri pericoli».

Così fu il percorso breve e accidentato della vicenda biografica di Fedele, costellata di sacrifici e ostacoli. Non vide neanche il primo volume della sua creatura. Ma i contadini sanno che ciò che conta è seminare bene, non chi raccoglierà.

Testo di Paolo Vian, pubblicato su L’Osservatore Romano del 13 novembre 2017



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