Si conclude oggi, qui ad Assisi, il convegno dell’Associazione nazionale parroci e vicari parrocchiali di Italia e Albania dell’Ordine dei frati minori. Nella mattinata di ieri, 6 febbraio, si è tenuto – come da programma – un incontro di S.E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia per la vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia, sul tema “La famiglia, prima comunità cristiana, scuola di vita e di fede dei giovani”.
Per facilitarne la lettura pubblicheremo, qui e nei giorni che seguiranno, l’intervento suddiviso in sei parti. È possibile, tuttavia, accedere al sito www.vincenzopaglia.it per leggere il testo completo.
Una condizione paradossale
La famiglia si trova oggi in una situazione paradossale. Da una parte infatti, resta ancora oggi l’ideale a cui tutti fanno riferimento: è sentita come il luogo della sicurezza, del rifugio, del sostegno per la propria vita. Dall’altra, però, vediamo i legami famigliari infragilirsi sempre più: le famiglie si disperdono, si dividono, si ricompongono, si allargano. Gli studiosi più attenti parlano delle società occidentali a basso tasso di familiarità. Ha sorpreso la decisone della primo ministro inglese di creare il “Ministero della Solitudine”. E non perché preoccupata delle questioni affettive, ma per il peso economico che rappresenta il notevole numero di persone sole. In Italia è cresciuto in maniera esponenziale il numero di persone che scelgono di restare da sole. A parte la notizia di chi si sposa con se stesso! In ogni caso non c’è un lima culturale che favorisca la famiglia.
E tra i motivi più chiari vi è la crescita di una cultura individualistica. C’è chi parla di “seconda rivoluzione individualista”. Insomma, viviamo in una società in cui l’io prevale sempre più sul noi e l’individuo ha un peso sempre più forte rispetto a quello della società. E in una società individualista è ovvio che si preferisca la coabitazione al matrimonio, l’indipendenza individuale alla dipendenza reciproca. In tal modo, la famiglia, con un capovolgimento totale, più che “cellula base della società” viene concepita sempre più come “cellula base per l’individuo”. Ognuno dei due coniugi pensa l’altro in funzione di se stesso: ciascuno cerca la propria singolare individualizzazione più che la creazione di un “soggetto plurale” che trascende le individualità per creare un “noi” che affronta la costruzione di un futuro comune. Insomma, l’io, nuovo padrone della realtà, diviene padrone assoluto anche nel matrimonio e nella famiglia. Il sociologo italiano, Giuseppe De Rita, parla di “egolatria”, di un vero e proprio culto dell’io.
Lo stesso cristianesimo non è immune dal virus dell’individualismo. Lo rileva con sapienza Benedetto XVI, nell’enciclica Spe Salvi, quando parla di una riduzione individualista del cristianesimo. Papa Ratzinger si chiede: “com’è potuto accadere che nel cristianesimo moderno si sia affermata la concezione della salvezza come un affare individuale, per cui ciascuno crede che deve impegnarsi per salvare la propria anima, mentre l’intera tradizione biblica e cristiana che ci salviamo in un popolo?” Il Concilio Vaticano II lo ha affermato con grande chiarezza: “Dio avrebbe potuto salvare gli uomini in maniera individuale, ma ha scelto di salvarli radunandoli in un popolo”. Tale individualismo religioso è divenuto complice di quell’individualismo della cultura contemporanea che sta avvelenando l’intera forma “associata” della esistenza umana. Assistiamo infatti all’indebolimento di tutti quei legami che comportano una stabilità e comunque una responsabilità continuativa. E ne subiscono le conseguenze tutte le forme associate a partire dalla famiglia che il primo “noi” che l’individualismo si trova sulla strada. Mi torna in mente la straordinaria definizione che Cicerone dava della famiglia: “Familia est principium urbis, et quasi seminarium rei pubblicae”.
Papa Francesco pone la famiglia all’interno di questo orizzonte strategico: la famiglia non è chiusa nella storia di individui e dei loro desideri di amore (che pure ci sono), ma coinvolge la vita stessa della Chiesa e della società, sino a poter dire che la famiglia è la madre di tutti i rapporti.
Verso una Chiesa “famigliare”
Amoris Laetitia richiede un cambio di passo e di stile che tocca la forma stessa della Chiesa: la Chiesa stessa è una Famiglia, e quando la Chiesa parla della famiglia parla anche di sé, e viceversa. In questa prospettiva è evidente che non si tratta semplicemente di riorganizzare la “pastorale famigliare”, quanto di rendere “famigliare tutta la pastorale” o, ancor più chiaramente, di rendere “famigliare tutta la Chiesa”, “tutta la parrocchia”.
La Chiesa non può presentarsi come un tribunale, o un pubblico ministero dell’accusa per giudicare gli adempimenti e le inadempienze della legge senza riguardo per le dolorose circostanze della vita e l’interiore riscatto delle coscienze. La Chiesa è impegnata dal Signore ad essere coraggiosa e forte proprio nel proteggere i deboli, nel curare le ferite dei padri e delle madri, dei figli e dei fratelli; a cominciare da quelli che si riconoscono prigionieri delle loro colpe e disperati per aver fallito la loro vita. E’ indispensabile comprendere il legame indissolubile tra questa madre e i suoi figli. E’ vero che il matrimonio è indissolubile, ma il legame della Chiesa con i suoi figli lo è ancora di più perché è come quello che Cristo ha con la Chiesa, piena di peccatori che sono stati amati quando ancora lo erano, e non sono abbandonati, neppure quando ci ricascano. Questo è il mistero grande, di cui parla l’Apostolo. La Chiesa ha come suo compito materno riportare a casa coloro che hanno sbagliato per curarli e guarirli; ovviamente non riuscirebbe a farlo se li lascia dove sono abbandonati al loro destino perché “se lo sono cercato”. Dobbiamo intraprendere un nuovo stile ecclesiale, consapevoli della diversità delle situazioni e con la decisione di non lasciar solo nessuno.
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