Quest’anno, e per la prima volta nella mia vita, ho voluto farmi un regalo di Pasqua: mi sono presa una vacanza dal lavoro e dalla famiglia per trascorrere il triduo al Convento del Sacro Speco. Conosco la fraternità che qui vive già da qualche mese, ma questi tre giorni vissuti con loro, e con gli altri ospiti anche loro venuti per il triduo, sono stati un grande dono ed una rivelazione.
Le varie celebrazioni, i momenti di preghiera comunitaria e individuale, le catechesi e i momenti di silenzio che hanno scandito questo tempo condiviso con i frati, gli altri ospiti e i fedeli hanno illuminato il buio che avevo dentro nel giorno del mio arrivo al convento; ognuno di questi momenti ha avuto un proprio significato e mi ha lavorato dentro lasciando un segno profondo.
Suggestiva e carica di significati è stata la celebrazione del Giovedì Santo, in “Coena Domini”, con i gesti che essa ci offre e la sempre coinvolgente e preziosa omelia di padre Claudio; a seguire l’adorazione animata da fra Luca e fra Daniele che ci hanno fatto dono di bellissime riflessioni.
Molto forte è stata la celebrazione della Passione del Venerdì Santo che ho vissuto con grande trasporto ed emozione. Mentre ascoltavo la Parola, ho sentito tutto il peso della Croce che ognuno di noi, chi più chi meno, porta sulle proprie spalle. Ho avvertito tutta la paura di non farcela, i dubbi verso un Padre che a volte sento così lontano tanto da sembrare inesistente, la morte di Gesù, la sua deposizione in quel sepolcro sigillato da quell’enorme pietra, come simbolo della morte della speranza e della chiusura totale del mio, nostro, cuore ad essa. Il giorno successivo, Sabato Santo, giorno del vero silenzio, con la catechesi della mattina e l’omelia della Veglia donateci da padre Giancarlo è accaduto qualcosa che ha cambiato tutto: in quelle parole si sentiva il sapore di una speranza che è più viva che mai; il vero senso di quella morte, che non è vera morte, ma è trasformazione; dice Gesù: “SE IL CHICCO DI GRANO CADUTO IN TERRA NON MUORE RIMANE SOLO; SE INVECE MUORE PRODUCE MOLTO FRUTTO” (Gv 12,24-25).
Ho compreso l’importanza del porre al Signore la domanda giusta di fronte alle difficoltà e fragilità, come atto di affidamento e abbandono nelle braccia del Padre perché la sofferenza della Croce, se vissuta in questo senso, diventa occasione di nuova vita e di salvezza. Ma anche quanto sia prezioso imparare a lasciar fare a Dio Padre nella nostra vita, allontanando da noi la superbia e l’orgoglio nel voler agire da soli secondo i nostri tempi, i nostri mezzi e le nostre vie che non sono le stesse sue. Lasciare che sia Lui a spostare quella pietra che chiude il sepolcro perché nella nostra condizione di uomini non avremo mai la forza sufficiente per farlo da soli. Imparare a cercare dentro di noi la fede, dono che da sempre abbiamo dentro, in quanto figli di Dio, e coltivarla, farla crescere perché sia speranza nel dolore e ringraziamento nella gioia.
Ecco questo è ciò che mi è rimasto nel cuore, gli insegnamenti che più mi hanno colpito, forse perché era quello che avevo bisogno di sentirmi dire. In poche parole quel “è accaduto qualcosa che ha cambiato tutto” altro non è stato che il sentirmi spostare da dentro quella pietra che chiudeva il sepolcro, il mio cuore.
Non sono mancati, in questi tre giorni, i momenti di allegria e condivisione gioiosa che hanno trovato il loro apice nel pranzo del giorno di Pasqua, complice anche il compleanno del caro fra Daniele che, quest’anno, è coinciso con il giorno della Resurrezione di Gesù.
Ringrazio Dio e la fraternità del Sacro Speco per questi giorni per me così preziosi e sicuramente indimenticabili e i cuori che hanno, qui, incrociato il mio cammino.
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