Dopo aver presentato il tema della sinodalità nell'esperienza di San Francesco, vediamo che anche Chiara d’Assisi, presentandosi come sua pianticella, nella Regola, IV,15-18 (FF 2780) afferma: «Almeno una volta la settimana l’abbadessa sia tenuta a convocare a capitolo le sue sorelle […] conferisca lì con tutte le sorelle; spesso infatti il Signore rivela ciò che è meglio al più giovane». Proprio questo confronto in cui si parla con parresìa e si ascolta con umiltà permette alla comunità di mostrare che «la bellezza è un’armonia relazionale di parti ottimamente colorate» come afferma Bonaventura da Bagnoregio nell’Itinerarium mentis in Deum (L’Abete, Firenze 1963, pp. 49.61-62).
Nella posterità di santa Chiara d’Assisi un esempio efficace di tale metodo che può essere definito sinodale lo si trova narrato nelle Ricordanze del monastero di S. Lucia in Foligno (Assisi 1987, pp.193-194): «[…] quelle suore antiche che pigliarono il Monastero usavano certi scapolari che attaccavano la parte innanzi con quella dietro sotto le braccia con certi lacci o bendelle. La Reverenda Madre suora Cecilia da Perugia [1426-1500] non gli piaceva questa foggia di scapolari; essendo abbadessa li volle levare come li aveva levati al monastero di Monteluce [di Perugia] quando c’era stata come abbadessa. Quasi la maggior parte delle suore non voleva che si levasse, perché l’avevano da quelle suore antiche, e così chi voleva e chi non voleva; per la qual cosa era nata grande discordia fra esse, la madre abbadessa facendo fare grande orazione per questa cosa in comune e in particolare, che al Signore e santa Chiara benedetta gli piacesse di mostrare quella che fosse la sua volontà che si facesse di questo abito e modo di portare degli scapolari.
Dopo molte orazioni e digiuni, santa Chiara gloriosa apparve visibilmente a una suora, e gli mostrò lo scapolare che portava lei, il quale era semplice, senza nessuna staccatura. Questa suora rivelò la visione all’abbadessa, la quale notificò la volontà di santa Chiara secondo la predetta apparizione, e così tutta la famiglia, di grande concordia e mutua carità, tutte insieme si accordarono a portare gli scapolari semplici, senza legatura alcune». Questo episodio ricorda quell’altissima povertà e santissima unità che racchiude la spiritualità di santa Chiara e che è uno dei segreti della fecondità.
La costituzione Lumen gentium del concilio Vaticano II riguardo alla collegialità ricorda «la convocazione dei Concili per decidere in comune di tutte le questioni più importanti mediante una decisione che l’opinione dell’insieme permetteva di equilibrare» (LG 22). Un ruolo importante nella redazione di questo paragrafo ha avuto padre Umberto Betti che nel Diario del Concilio (Bologna 2003) scrive: «Pensare di non aver più niente da imparare sarebbe come congelare la propria intelligenza, metterla in pensione per invecchiamento precoce». Assieme a lui vi fu anche il domenicano padre Yves Congar che nel Diario del Concilio (Milano 2005) scrive: «il Concilio non ha bisogno né di vinti né di vincitori, ma di trovare un’unanimità morale» e «il problema non è quello di sostituire le enunciazioni di una scuola con quelle di un’altra, ma di scrivere un testo a cui tutti possano aderire».
Leggendo i testi La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa e Il sensus fidei nella vita della Chiesa – che rinviano Y. Congar, «Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet», in Revue historique de droit français et étranger 36 (1958), 210-259 – si comprende quanto sant’Ignazio d'Antiochia scrive ai cristiani di Tralle riguardo al loro vescovo: «io vedo in lui tutta la vostra comunità». Quando si vive la sinodalità viene meno la presunzione personale e comunitaria – come purtroppo avviene in gruppi lobbistici o settari con abusi di potere e coscienza – e chi è preposto esercita il carisma della sintesi sinodale.
Per un approfondimento riportiamo l’intervento di S.E. Paolo Martinelli ofmCap in “Sinodalità alla prova. Racconto critico di tre luoghi e soggetti ecclesiali”
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