ePrivacy and GPDR Cookie Consent management by TermsFeed Privacy Policy and Consent Generator
Il prezioso patrimonio custodito alla Chiesa Nuova di Assisi 10 Lug 2018

La Spezieria della Chiesa Nuova

È ormai noto da tempo, non solo tra eruditi e storici di professione, come nel corso dei secoli molti frati studiarono e praticarono con profitto la medicina. In Italia le varie famiglie francescane ebbero la direzione di ospedali e dettero vita a grandi farmacie ed infermerie conventuali che, spesso dotate di biblioteche specializzate con libri di medicina, farmacologia e pratica infermieristica, diventavano veri e propri centri di sperimentazione clinica e non di rado offrivano i loro servigi ben al di là delle mura del convento.

Soprattutto in età moderna la farmacopea delle spezierie conventuali fu così intraprendente ed ecclettica da oltrepassare – poggiando sul saldo piedistallo della botanica medica, integrata dalle nuove teorie nate dalla rivoluzione paracelsiana – la pratica tradizionale basata in gran parte sulla sola autorità di Ippocrate e Galeno. Molto interessanti sono le relazioni dei padri francescani medici e missionari nelle Filippine, in Cina ed in Giappone riguardo la medicina cinese e giapponese; sembra infatti che essi avessero perfettamente integrato ed armonizzato le conoscenze mediche apprese prima in Occidente con quelle proprie della tradizione medica orientale, raggiungendo nell’esercizio della medicina risultati straordinari.

Si potrebbero ricordare fra’Bartolomeo da Orvieto e fra’Angelo Napoletano, medici e speziali impegnati nella Spezieria di S. Maria dell’Aracoeli, autori di opere citate persino dal Mattioli, come anche i molti frati infermieri che fecero la gloria delle grandiose farmacie-spezierie della Verna e di Terra Santa; a quest’ultima è legato il nome di frate Antonio Menzani da Cuna, cui si deve il famoso “balsamo di Gerusalemme”.

Anche i conventi dell’Umbria provvidero ad istituire spezierie ed infermerie di varia grandezza, tra le quali certo meritano menzione per importanza e ricchezza d’arredi quella della Porziuncola e quella di Montesanto di Todi, dove ancora oggi si conservano dei ricettari ed un bellissimo erbario manoscritto.

Singolare e di straordinaria importanza, anche se poco conosciuta nonostante l’amorevole e accurato lavoro di catalogazione del patrimonio svolto da p. Marino Bigaroni OFM, è l’infirmaria conventuale di Chiesa Nuova ad Assisi, convento destinato sin dalla sua fondazione a fungere da infermeria per le famiglie francescane dell’Eremo delle Carceri e di San Damiano.

Rilevava p. Marino, nell’introduzione al suo Inventario, proprio la singolarità della presenza di un documento autografo del Ministro Generale dell’Ordine per la fondazione di un’infermeria conventuale.

Il Ministro Generale M. R. Pietro Manero, in data 11 luglio 1651, si espresse dunque in questi termini: “Per la necessità che tiene la nostra Provincia venerata di San Francesco d’aver un luogo d’infermaria in sito commodo et opportuno fatta di già sopra mattura consideratione, in vigore di questa, dichiariamo infermaria formale della suddetta Provincia il Convento della nostra nova Chiesa d’Assisi, con tutte quelle conditioni che soglion competere alle nostre infermarie…” (la trascrizione è di p. Marino Bigaroni).

Sarebbe ora troppo lungo soffermarsi sulle preziose maioliche della spezieria, custodite nel Museo della Biblioteca Storico–Francescana del convento; farò dunque solo qualche breve considerazione generale sui testi che, a quanto si apprende dall’Inventario, utilizzavano i frati infermieri quando, in un tempo ormai lontano, la spezieria era in piena attività. Vuole dunque essere questa non altro che una breve introduzione, cui spero seguiranno presentazioni specifiche di opere di singoli frati, come ad esempio quella dello speziale frate Giuseppe da Spello, autore dello splendido erbario di Montesanto sopra richiamato.

I libri dell’infermeria, circa quaranta tra manoscritti e testi a stampa, testimoniano dell’importanza di questa istituzione, che possedeva dunque una propria biblioteca interna “specializzata”. I libri insomma non erano custoditi, come spesso avveniva, nella biblioteca del Convento, ma, a quanto pare, in una più piccola e diversamente ordinata, legata appunto in maniera specifica all’infermeria.

I frati scelti e formati per accudire e curare i confratelli malati non erano certo degli sprovveduti: venivano destinati a tale compito in virtù della personale predisposizione e la loro istruzione era basata sui testi della tradizione medico-farmacologica del tempo, cui naturalmente si aggiungeva l’esperienza pratica acquisita e trasmessa dai loro predecessori. La “piccola” Biblioteca dell’Infermeria era costituita dunque da testi diversi per natura ed estensione; vi erano sia agili ricettari in volgare di poche pagine, atti fondamentalmente a dare all’infermiere sintetiche indicazioni pratiche, sia più complessi trattati di medicina, anatomia e chirurgia come il Thesaurus et armamentarium medico-chymicum del Mynsicht.

Molti testi, anche a stampa, erano di autori francescani, come la monumentale Arte dello spetiale di frate Francesco Sirena, speziale del convento di Santa Croce a Pavia. L’opera, stampata per la prima volta nel 1679, riporta 1216 ricette tutte accompagnate dalle opinioni di altri più o meno noti autori circa la stessa preparazione. Si trovano poi il celebre Herbario nuovo di Castore Durante ed i popolari Capricci medicinali del medico bolognese Leonardo Fioravanti.

Non poteva poi certo mancare l’opera dello speziale parmigiano Girolamo Calestani che, dopo una prima formazione a Parma nella prestigiosa officina di Benedetto degli Andreozzi, ebbe a Roma, ancora giovane, particolari rapporti con i frati minori di S. Maria in Aracoeli: con essi frequentemente amava discutere di questioni mediche e farmacologiche. Oltre alla ricerca diretta sul campo, Calestani si rese artefice anche di minuziose ricerche su antichi codici nel tentativo di ricostruire la ricetta del potente farmaco “diacatholicòn”, legato al nome del celebre medico alessandrino Nicolò Mirespo, con il quale si dice egli avesse curato la cittadinanza di Parma da una feroce epidemia. Il frutto del lavoro di una vita venne da lui raccolto nelle Osservationi di G.C. Parmigiano nel comporre antidoti et medicamenti, che più si costumano in Italia all’uso della medicina, secondo il parere de’medici antichi e moderni esaminate. Con l’ordine di comporre et fare diversi conditi, et col modo di conservarli. Opera non soltanto utile, ma necessaria ancora alla vita, dato alle stampe per la prima volta a Venezia nel 1564. L’opera – è lo stesso Calestani a dirlo, e la sua presenza in molte biblioteche legate a spezierie lo dimostra – “insegna con ogni facilità tutto ciò che fa di bisogno ad ogni diligente speziale ed ad una bene ordinata speciaria”.

Per quanto riguarda l’anatomia, tra i testi posseduti dai frati c’era anche Il corpo-umano, o breve storia, dove con nuovo metodo si descrivono in compendio tutti gli organi suoi, e i loro principali ufizi, per istruire a bene intendere, secondo il nuovo sistema, la teorica e pratica medicinale, corposa opera del cartesiano perugino Alessandro Pascoli.

Medico abilissimo e ricercatissimo, anatomista e terapeuta, prestò le sue cure a papi e regine, e per molti anni ebbe l’incarico di protomedico generale di Roma e di tutto lo Stato Ecclesiastico.

Il trattato, caratterizzato da una forte impronta cartesiana, è un’accurata ed ordinata descrizione delle parti del corpo umano, delle loro funzioni, delle malattie cui vanno soggette e dei metodi più opportuni per la loro cura; con esso l’autore intende rimuovere ogni dubbio attraverso l’uso di un metodo efficace: “E molto più si confonde all’or che sente, che un muscolo, un tendine, una membrana, un legame, nasce e si perde in certi membri, ch’ei non conosce. La onde, a rimuovere un tal disordine per quanto mi fu possibile, ho descritti in modo gli Organi del Corpo umano che alle cognizioni men facili, e più composte ho cercato sempre premettere le più facili, e meno composte”.

Non mancavano inoltre nella biblioteca dei frati di Chiesa Nuova trattati di ampia diffusione e di più facile lettura come la Medicina domestica del medico scozzese William Bucham. In polemica con la classe medica del tempo, potente e monopolistica, legata ancora ai classici testi in latino appannaggio esclusivo del medico dotto formatosi per lo più in ambiente universitario, Bucham sosteneva con forza nelle pagine del suo trattato la possibilità per la gente comune di curare da sola i propri mali: “Noi diamo inoltre l’esposizione de’sintomi precursori, o foriere dell’altre malattie gravi, che hanno benissimo una sede determinata, come quelle del cervello, del petto, dello stomaco, del fegato, della pelle ecc.”.

Senza proceder oltre e lasciando dunque lo spazio per future incursioni, vorrei solo rammentare che l’interesse dei frati di Chiesa Nuova per la medicina si manifesta costante sin all’Ottocento inoltrato, come dimostra la presenta di testi quali la curiosa Medicina omeopatica domestica di Constantin Hering nella versione italiana del dott. G. Pompili, stampata a Roma nel 1854.

In SCIENZA COL SAIO, a cura di Poalo Capitanucci
dal n. 1/2018 della Rivista Porziuncola



Chiesa Nuova Medicina Paolo Capitanucci Rivista Porziuncola

Articoli correlati

21 Ago 2023

La regola di san Francesco

Una regola otto volte centenaria
10 Ago 2023

La preghiera di domanda secondo sant'Agostino

Che cosa chiedere a Dio?
08 Lug 2023

Frutti maturi in terra di Mongolia

L'affascinante impresa di Giovanni da Montecorvino
03 Lug 2023

Madre Terra Sorelle Stelle

Un laboratorio di pensiero e azione
02 Giu 2023

Vivere il Battesimo con S. Francesco: la profezia

Alla scuola di Francesco
23 Mag 2023

Beati i deboli

Umili e piccoli tra le braccia di Dio
23 Mar 2024

La Domenica delle Palme di Santa Chiara di Assisi

Abbracciare per amore di Cristo l’Altissima Povertà Santa Chiara Monastero Clarisse