Pubblichiamo con piacere i passaggi essenziali della recensione fatta dal Prof Ennio Cerrini dopo aver visitato la Personale di Elisabetta Zanganelli. Il linguaggio è elevato, lo stile ricercato; profonde ed ardue alcune metafore.”Mirabilia” l’ha intitolata, ad esprimere le “cose meravigliose” che vi ha trovato.
Un “quinto evangelio” i dipinti di Elisabetta: “chiatte in carovana” al largo dello spirituale... sublimata visione dell’arte pittorica.
Con intenzione lucidissima, con fabrile mano e con il gusto di chi si avverte fibra del mondo, l’artista assembra tutti i materiali delle sue composizioni e li rende docili a farsi artistica carne, prodigio di contemplazione, causa di lode all’Altissimo.
Così, insieme, stupefacente creativo delirio, ecco il piombo e l’argento, il compensato e il marmo di cava, il ferro e il legno di noce, il plexiglass e il cemento, le sfere di acciaio e le sfere di marmo.
Un campo della tattilità senza fine... un campo che, singolarissimo, annuncia il messaggio, trasmette la bella notizia: il lupo e l’agnello dimorano insieme; insieme pascolano il leone e il vitello (Is 11,6)... Operativamente, un campo con parti al naturale e con parti lavorate al bisturi e verniciate; dove c’è il collage con la sua furente interfogliatura... dove c’è l’acrilico, invece dell’olio e della tempra, e della tavolozza su cui mescolare i colori...
Non viene meno la forma ben proporzionata: vi è ferma, precisa, puntuale, misura di misure. Fino all’estremo Elisabetta ne è convinta vigile cultrice. Troppo hanno inciso nel suo serio curriculum formativo gli studi accademici in Urbino rinascimentale. L’informale, neanche per lo zerbino del suo gatto, né per la soglia del suo studio.
La collocazione dei segni, in ogni sua opera, è perentoria e senza pentimenti, tutta di effetti studiati e previsti: sono quelli, e non uno di più o di meno. A toccarli, perderebbero di dignità e poetica magia. Un ritocco, e la poesia, presente essenza nel suo dipingere, in un lampo si dissolverebbe. “Chiare, fresche dolci acque”, e non “Dolci, fresche e chiare acque”.
...” Paesaggio umbro”, 1996, a dirne la verve creatrice. Uno scrimolo luminoso, non appartato, liquido, lo attraversa nel mezzo (saxosas inter decurrunt flumina valles); quindi ombre (nero opaco e nero lucido) e colline che gemono e respirano; quindi latteo sognato orizzonte, senza siepi. Liricamente perspicuo, da “Cantico di frate Sole”.
Quindi, diffuse armonie nell’ammirata sequenza dei quadri: Paesaggi, 1998, ogni cosa vi ha una voce; Percorsi obbligati, 2001 l’angoscia non ha più una ragione per esserci: Composizioni teologico-gnomiche, 2014-2018, Dio soffio sapido di attese; l’intatta suggestione dell’interminato.
Il colore non vi è come sfaldature e ciglio franante, ma come lame di luce non manierata e nitida con scatto: “ermo colle” e via a immaginare “ sterminati spazi e profondissima quiete”.
Pur non allontanandosi dal mondo dei sensi, con potere e sentimento l’artista è entrata nello spazio della mente: “pensavo giorni antichi, in mente ho ora anni eterni”.
Nell’andamento di un tal meditare, i dipinti supremi: La Creazione,2003, e La Morte,2000. Scelta forte, nell’anagrafe dell’anima di Elisabetta, e frutto di un’attenzione umanissima e pia.
Due eternità: vivente e luminosa l’una, intensa e colma di mistero, senza luce e senza moto l’altra, lapideo e imperscrutabile sonno. Un timidissimus mori, con resurrezione; un timidissimus vivere, senza speranza.
L’opera di Elisabetta, un’eco di tutta la sua esperienza di vita, un canto che dura oltre l’alba di sensazioni, sentimenti, visioni.
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