Giovedì 7 giugno 2018 si è svolta presso la sala convegni “San Giovanni Paolo II” del Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza di Todi la giornata di santificazione sacerdotale promossa dalla Conferenza episcopale umbra (Ceu) e dalla Famiglia dell’Amore Misericordioso (Fam) rivolta a tutto il clero regionale.
Presenti i Vescovi dell’Umbria e numerosi presbiteri. È stato l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra, mons. Renato Boccardo, ad accogliere i numerosi presbiteri delle diocesi e delle famiglie religiose della terra dei Santi Benedetto e Francesco. Con lui c’erano il vescovo di Orvieto-Todi mons. Benedetto Tuzia (ordinario del luogo), mons. Domenico Sorrentino arcivescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Giuseppe Piemontese vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Gualtiero Sigismondi vescovo di Foligno, mons. Domenico Cancian Vescovo di Città di Castello, mons. Luciano Paolucci Bedini vescovo di Gubbio, mons. Paolo Giulietti vescovo ausiliare di Perugia-Città della Pieve, mons. Mario Ceccobelli vescovo emerito di Gubbio e padre Aurelio Perez superiore generale dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti aveva impegni legati al suo ruolo di presidente della Conferenza episcopale italiana. Presenti i seminaristi del Pontificio seminario regionale “Pio XI” di Assisi accompagnati dal rettore mons. Carlo Franzoni. Relatore della giornata è stato don Armando Matteo docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma, autore di numerosi saggi, alcuni dei quali tradotti all'estero. Il tema proposto è stato “Discernimento vocazionale e direzione spirituale”.
Saluto presidente della Conferenza episcopale umbra. In apertura della giornata mons. Boccardo ha salutato cordialmente i presbiteri presenti. «È bello ritrovarci insieme – ha detto – per vivere questo momento di comunione, incontro e formazione, secondo una tradizione ormai antica che deve essere ogni volta rinnovata e rivitalizzata. Il tema della giornata è quanto mai attuale perché si colloca in relazione diretta con il prossimo Sinodo dei Vescovi che il Papa ha dedicato alla presenza della parte giovanile nella Chiesa».
La crisi dell’adultità. «Gli adulti delle generazioni 1946-1964 (del boom economico o baby boom) e 1964-1980 (generazione x, non ben definita) – ha detto don Armando Matteo – hanno messo da parte il verso significato dell’essere adulto e ciò ha ricadute incredibili nella vita dei nostri giovani, quindi è necessaria una ricalibratura del ministero dei preti sul versante educativo». Ma cosa è accaduto a questi adulti? «La struttura ordinaria dell’adultità – ha detto il relatore - è stata rimossa a favore di un innamoramento del mito della giovinezza. Il compimento dell’umano è restare giovani per sempre, che implica il disconoscimento di qualsiasi altra possibilità di stare al mondo. Solo restando giovani si può essere umani, quindi salvi. Questo cambiamento della popolazione adulta produce un disallineamento dal reale generando una cultura in cui lo spazio della vocazione diminuisce. Non si ha più la capacità di riconoscere che si diventa vecchi e, pur di restare giovani, si spendono cifre impressionanti, basti pensare che le aziende cosmetiche non sono per nulla in crisi. Questo contesto, naturalmente, sa sempre meno di cristiano. Altro capitolo è la malattia: non vogliamo riconoscere i segnali di cedimento del nostro corpo e ci imbottiamo di farmaci iper performanti. I bambini inoltre sono trattati come divinità, ma quando per loro non c’è lavoro, casa, possibilità di fare figli, diventano depressi, dipendenti da qualcosa. Infine, non si è più in grado di usare la parola morte, anche nei manifesti funebri la parola non c’è, è stata sostituita con “si è spento”, è “scomparso”, addirittura si dice ai bimbi che il nonno è in “un giardino meraviglioso” e così via. I giovani dunque entrano nelle nostre comunità parrocchiali con queste caratteristiche: dove gli adulti non fanno gli adulti e quindi entra in crisi la cultura vocazionale, che produce a sua volta una paralisi della generatività a tutti i livelli».
Le quattro competenze del presbitero di oggi. In questo contesto di negazione dell’adultità come devono comportarsi i presbiteri, cioè coloro che sono gli “anziani” della comunità? Quattro competenze sono state indicate da don Armando Matteo. «Come prima cosa la competenza sapienziale: dobbiamo sapere come funziona il mondo, stare con i piedi per terra, ridando ai giovani le coordinate di questa società, contenute nella Bibbia. Dire loro: non sei Dio, ma questo non vuol dire che sei uno zero, ma un qualcuno che può fare tante cose. Poi, la competenza maieutica: dobbiamo aiutare i giovani a scoprire le loro virtù. Questa è l’occasione per dire che il cristianesimo serve a fare donne e uomini maturi, adulti, responsabili della vita del mondo. La terza è la competenza profetica: noi preti siamo chiamati ad entrare nei meccanismi che dominano il mondo e che sono perversi. È necessario fermarsi, pensare e ciò implica per i preti un po’ di tempo per studiare, leggere, ascoltare la musica, formarsi…entrare insomma nella storia dei giovani. Infine, la competenza mistagogica: il vero sacerdote sa che sono molte le strade per arrivare a Dio e deve essere prossimo a questi percorsi. La gente non sa più pregare, non sa vivere le esperienze liturgiche. Come possiamo non reagire e far finta di nulla? Ci vuole maggiore impegno per restituire il gusto della preghiera proponendo formule magari più semplici, prassi differenti come fanno ad esempio le comunità monastiche».
Celebrazione eucaristica. La mattina si è conclusa con la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Luciano Paolucci Bedini vescovo di Gubbio e concelebrata dagli altri Vescovi e dai sacerdoti presenti. Nell’omelia il presule ha detto che «tutti rischiamo per la fatica, per le abitudini, per le esperienze vissute di dimenticare qualcosa, di smarrire anche il dono più grande della nostra esistenza che è Dio. È necessario allora nelle nostre preghiere fare memoria, ricordare, consapevoli che siamo stati chiamati a perseverare nella fedeltà, nell’amore apostolico, nell’ascolto della Parola. Solo così possiamo vivere un amore totale. E se un sacerdote non ama se stesso – ha concluso - come potrà insegnare agli altri ad amare con tutti il cuore?».
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