Il regime albanese, l’ultimo a cadere tra quelli comunisti dell’Europa dell’Est, fu, tra tutti, il più spietato nei confronti di coloro che considerava suoi nemici politici, in particolar modo con il clero cattolico impegnato in prima fila nella formazione culturale della gioventù. Enver Hoxha (1908-1986), giunto al potere nel 1944, aveva infatti instaurato nel paese un vero e proprio clima di terrore, generando — di conseguenza — un sospetto reciproco che ancora oggi, a più di venticinque anni dalla caduta del regime, produce i suoi effetti.
Dopo una prima fase cruenta, nel suo regime se ne aprì un’altra, non meno virulenta, nel 1967, quando venne indetta la lotta contro la «superstizione religiosa» (quanti libri e icone religiose, anche di notevole valore, furono dati alle fiamme), culminata nell’affermazione dell’ateismo di stato sancito dalla Costituzione del 1976, una “conquista” di cui l’Albania vantava il primato.
Nessuna manifestazione religiosa era permessa e gli stessi bambini finivano spesso per diventare, a loro insaputa, strumenti della polizia segreta: con molta facilità, infatti, a scuola li si poteva indurre (bastava, ad esempio, un componimento del tipo: «Descrivi la tua serata in famiglia») a rivelare quanto accadeva in casa. Per questo i più piccoli venivano mandati a letto presto e nelle famiglie s’iniziava a pregare solo dopo che si erano addormentati, con l’ausilio di sentinelle all’esterno: sebbene in modo inconsapevole, i bambini potevano dimostrarsi dei traditori.
Ciononostante in occidente pochissimi si sono interessati a quel che succedeva in questo piccolo lembo di terra ad appena un tiro di schioppo dall’Italia. I riflettori erano allora piuttosto concentrati sugli stati maggiori dell’Est europeo, mentre suscita tuttora poco interesse la storia dell’Albania, balzata al centro delle cronache italiane unicamente negli anni cruciali degli sbarchi a ripetizione, quando i gommoni partiti da Valona sbarcavano sulle coste pugliesi giovani in cerca di fortuna.
Poco si sa, in effetti, di ciò che uomini e donne hanno sofferto in odium fidei fino a quando il regime non si sgretolò: solo il 4 novembre 1990 don Simon Jubani — poi nominato cardinale da Papa Francesco — poté infatti celebrare pubblicamente la messa nel cimitero cattolico Rrmaj, a Scutari, mentre il successivo 14 gennaio venne distrutta la statua che il dittatore stesso si era fatto erigere in piazza Skanderberg a Tirana.
I due poderosi volumi del frate minore Leonardo Di Pinto (Profilo storico agiografico di Mons. Vinçenc Prennushi e Compagni Martiri, per complessive 1070 pagine, con un prezioso corredo fotografico), pubblicati nel 2016 postumi dall’arcidiocesi metropolitana di Scutari-Pult, possono ora facilitare la conoscenza delle pagine più dolorose di questa dolorosa storia, vale a dire la vicenda dei trentotto martiri beatificati il 5 novembre 2016, morti sotto il regime di Hoxha per condanna capitale o a causa delle ripetute torture fisiche e psicologiche loro inflitte.
Pagine tristi ed esaltanti insieme, dalle quali emerge la tragedia di un popolo che non ha avuto la sua Norimberga: in Albania, perseguitati e persecutori possono ancora incontrarsi per strada e magari scoprire che l’aguzzino di ieri ha saputo riclicarsi presentandosi come un sostenitore della democrazia. Una situazione che inevitabilmente finisce per mantenere alta la soglia del sospetto.
di Felice Accrocca, pubblicato su L’Osservatore Romano dell’8 settembre 2017
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