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Intervista a p.Luca Baino ofm, missionario in Kazakhstan 05 Lug 2018

Padre con i poveri e fratello nel dialogo interreligioso

Vi proponiamo la lunga intervista a p. Luca Baino ofm, frate della Provincia Serafica di San Francesco di Assisi, da dieci anni missionario in Kazakhstan.

Padre Luca, sono ormai dieci anni che sei partito dalla Porziuncola per andare tra la gente del Kazakhstan; com’è cominciata questa avventura?

Ad Umbertide seguivo un gruppo di pastorale famigliare da un paio d’anni ed era ormai ora di iniziare a incarnare tante parole ascoltate. Abbiamo individuato alcuni campi di servizio in cui i vari componenti potevano impegnarsi. In quel tempo p. Guido Trezzani ofm cercava delle coppie di sposi per un periodo di volontariato nell’Orfanotrofio da lui aperto a Talgar (appunto in Kazakhstan) e così due coppie di sposi (a cui si aggiunsero due ragazze) si resero disponibili e partimmo. Parlando con p. Guido capii la difficoltà dell’essere solo a portare avanti tale attività e cominciò a farsi strada l’idea che forse il Signore mi aveva condotto in queste terre per iniziare qualcosa di nuovo: all’inizio era più forte la coscienza di venire a vivere in fraternità con un fratello della nostra Provincia, solo una volta arrivato qui mi sono reso conto di cosa significasse essere missionario. Ma la svolta definitiva è stata quando mi chiesero di trasferirmi a Taldykorgan come parroco e guardiano.

Puoi dirci quali sono le tue attività di ogni giorno? Vivi in una comunità di tre frati e sei parroco di tre parrocchie distanti tra loro centinaia di chilometri, giusto?

Ho vissuto per tre anni appartanendo alla fraternità di Almaty ma trascorrendo la maggior parte della settimana all’orfanotrofio di Talgar. Poi sei anni a Taldykorgan, prima con un confratello poi con un altro. Da quest’anno, per mancanza di frati, la fraternità di Taldykorgan è stata chiusa e io faccio di nuovo parte della fraternità di Almaty dove sono anche parroco della Cattedrale a noi affidata (oltre a continuare a fare il parroco di Taldykorgan e Jarkent che costituiscono un triangolo equilatero di 300 km per lato!!!). Mi è anche stata affidata l’economia di Almaty e Taldykorgan. La fraternità di Almaty è attualmente composta da: p. Bogumil (polacco), guardiano; fra Diego e fra Egidio (coreani), responsabili dell’ambulatorio e della mensa per i senza tetto; io e fra Julian (polacco), vice parroco delle tre parrocchie. La vita fraterna, grazie a Dio, è uguale in tutto il mondo. Quindi liturgia delle ore (lodi, ora media e vespro), s. Messa, pasti e ricreazione in comune.

Il resto secondo i doni e le capacità di ciascuno. Per il mio carattere e indole non riesco a tenermi fuori dal campo dell’aiuto sociale. Quindi già a Taldykorgan, ed ora anche ad Almaty (in collaborazione con il centro di aiuto sociale italiano MASP di Comunione e Liberazione) mi occupo dell’aiuto di famiglie in difficoltà, di giovani (principalmente usciti da orfanotrofi o carcere) per aiutarli a costruirsi un futuro, di malati (con un progetto sanitario per la regolarizzazione dei documenti, con cui si cerca la possibilità di cure statali gratuite e, quando non si riesce per questa via, si finanziano le cure necessarie), e poi tutto quello che si presenta cercando di fare un non facile discernimento. Tutto questo grazie alla fiducia e alla collaborazione dell’Ufficio Missionario della nostra Provincia. Un altro campo in cui sono felice di impegnarmi è quello del dialogo, paradossalmente più facile con i musulmani che con le altre confessioni cristiane. Per esempio, recentemente sono stato invitato ad intervenire alla preghiera alla moschea centrale dall’Imam regionale, durante la preghiera notturna per la chiusura del Ramadan.

In Kazakhstan (credo sia l’unico esempio al mondo) lo stesso Stato, tramite il Dipartimento per gli Affari Religiosi, in tutte le principali città del Kazakhstan, riunisce, una volta al mese, più o meno regolarmente, i responsabili delle varie confessioni religiose per un incontro di reciproca conoscenza, non solo a livello personale, ma anche dei fondamenti e tradizioni di ciascuna religione: è un’occasione per confrontarci su temi di comune interesse come la famiglia, l’educazione dei giovani, la salute e, ultimamente, su come contrastare ogni tipo di fondamentalismo che può portare a forme di terrorismo. Più vado avanti, più mi convinco che, comunque, la questione non ruota tanto intorno all’apertura più o meno di una o dell’altra religione, ma alla persona che la rappresenta. Anche tra noi cattolici ci sono persone molto chiuse al dialogo o almeno del tutto disinteressate.

La lingua, la cultura, le differenze tra le chiese ortodosse e quella cattolica: quali difficoltà hai incontrato in questi anni? E, anche, quali gioie puoi condividere?

La lingua comune per tutto il popolo (dicono essere presenti sul territorio, a causa delle deportazioni staliniane, 32 diverse nazionalità!) è il russo, ma da qualche anno, gli incontri ufficiali si svolgono in kazakho (con riassunti in russo) e spesso, nei luoghi statali (come uffici e ospedali) non è così facile trovare persone che parlino in russo. Il popolo kazakho è fondamentalmente ospitale e pacifico. Qui non esiste il “kronos” (l’ora esatta) ma solo il “kairos” dei lunghi tempi delle steppe sconfinate dove i pastori seguono più o meno il movimento del sole. Vestiamo all’occidentale ma dobbiamo conoscere gli avi fino alla settima generazione per sapere a quale “clan” apparteniamo e quindi regolarci su come gestire gli affari e con chi possiamo sposarci. La questione del dialogo tra cattolici e ortodossi non è così fondamentale visto che anche questi ultimi sono una minoranza. Nel mio caso concreto e per quanto sono a conoscenza dei rapporti tra di noi anche ad Almaty, sul piano dell’incontro “umano” non ci sono problemi e non è così raro incontrarci per un tè e quattro chiacchiere. Nel campo dei rapporti ufficiali o della teologia diventano imbarazzanti e spesso avvolti da silenzio. In nessun caso c’è la possibilità di pregare insieme. Ma ci sono invece casi di felice collaborazione nel campo del sociale. Evangelizzazione, liturgia, carità: quali aspetti sono più presenti in una qualunque giornata? Se per “evangelizzazione” intendiamo quella “ad gentes”, è quasi del tutto assente: la Chiesa Cattolica è impegnata fondamentalmente nella cura dei cattolici, discendenti dei deportati, presenti sul territorio, e il Dipartimento degli Affari Religiosi è molto attento che non si faccia “proselitismo”. Ma, come spesso mi trovo a spiegare al Dipartimento stesso, le nostre porte sono sempre aperte a chiunque si presenta, anche solo per curiosità! Al Nord è più facile che qualcuno tra i kazakhi si fermi e chieda anche il battesimo. Da noi al Sud è più complicato: spesso chi si avvicina alla fede cristiana (soprattutto protestante di diverse denominazioni non ufficiali) viene escluso dal clan e qualche volta anche dalla famiglia, con serie difficoltà nel trovare un lavoro o un qualsiasi tipo di aiuto. Non di rado qualcuno chiede di passare dalla chiesa ortodossa a quella cattolica soprattutto a causa della nostra liturgia: nella lingua locale (gli ortodossi pregano nello slavo antico, come era per noi cattolici il latino), con la possibilità di partecipazione attiva del popolo e un rapporto diretto con i sacerdoti. Nel nostro caso di francescani, la liturgia per il popolo è quotidiana, anche se la partecipazione dei laici è quasi nulla a causa, soprattutto, delle grandi distanze dalla chiesa. Alla liturgia partecipano le suore presenti in quasi tutte le parrocchie.

Ogni volta che torni in Italia ci racconti di un popolo, quello kazako, fiero e, allo stesso tempo, fragile; puoi raccontarci qualche fatto rispetto alla gente che ogni giorno incontri?

Quello che scrivo è una mia lettura. Il popolo kazakho ha seguito le proprie greggi tra le steppe per millenni vivendo sotto una iurta (tenda) senza fissa dimora e non dipendendo da particolari orari o dominatori (che hanno provato più volte a sottomettere questo popolo ma senza riuscirci: troppo facile nascondersi in queste terre!). Non hanno vissuto la rivoluzione industriale, lo sviluppo economico, le lotte politiche. Tutto questo gli è caduto addosso con il regime sovietico e, quello che l’Occidente ha lentamente digerito, i kazakhi lo hanno dovuto ingoiare nel giro di pochi decenni con un gran giramento di testa e non poche incomprensioni. È sempre difficile, dopo le deportazioni con la conseguente mescolanza di popoli, descrivere e definire questo popolo che, nonostante gli anni di convivenza, rimane diviso tra i locali kazakhi e “kazakastani” cioè quelli che pur se nati in Kazakhstan hanno radici culturali e abitudini che restano legate alle terre di provenienza: anche quelli che le proprie terre non le hanno conosciute, vivono con nostalgia e desiderio di andarvi.

San Francesco: da Assisi a Almaty! Come ha fatto ad arrivare ad oltre 7000 km di distanza?

S. Francesco aveva già fatto capolino da queste parti con fra Riccardo di Borgogna, vescovo di Armalik, con altri quattro compagni sulle tracce di Gengiskan, che però non hanno mai raggiunto, perchè martirizzati nel 1340 vicino a Jarkent (per questo ci tengo tanto a non perdere questa parrocchia e sono contento di essere parroco) dove sorgeva una chiesa di cui oggi (il territorio è passato alla Cina) i cinesi hanno lasciato in vista le fondamenta e una scritta in memoria. Sono poi tornati nel 1991, come tutti gli altri missionari, per sostenere i cattolici deportati nella regione di Almaty. Un cardinale italiano ebbe a dire alcuni anni fa che le nostre città sono “sazie e disperate”; il Paese che ti ospita vive un tempo di ristrutturazione dopo essersi emancipato dall’Unione Sovietica; ti sembra che prevalga la speranza oppure, il nichilismo e gli idoli dell’Occidente? Il popolo kazakho non è assolutamente nichilista, al contrario è preso dall’entusiasmo per uno sviluppo che va ad una velocità sproporzionata e con cui pochi riescono a stare al passo. E forse questo è il problema più grande: se andiamo avanti così potrebbe succedere che una piccola porzione di popolo si prenda la maggior parte della ricchezza e dei suoi frutti e il resto vivrà di stenti. Sì, l’occidentalismo uccide, e se noi missionari non ci convertiamo all’”inculturazione” avremo la responsabilità di aver partecipato alla distruzione delle culture, tradizioni con la loro bellezza e originalità. In Kazakhstan, consola che il Governo, a partire dal Presidente, spendono ingenti forze di personale ed economiche nel campo della cultura, della collaborazione internazionale e contro la corruzione, che è una piaga nazionale. Il popolo, da parte sua, partecipa con grande entusiasmo e orgoglio a questo processo, sicuro di un futuro luminoso, anche se c’è un abisso tra la vita delle poche grandi città e quella dei villaggi (più o meno popolati) tra le steppe, difficilmente raggiungibili da questo processo di sviluppo. Rispondi a una domanda che non ti faccio: voglio dire, racconta un fatto, un desiderio, un’aspettativa che possa interessare ai nostri lettori. Uno degli ultimi fatti: mercoledì 21 giugno, l’imam della moschea centrale di Taldykorgan, il signor Serkan, ha invitato me e p. Julian, alla preghiera della “notte santa” in chiusura del Ramadan. Per farvi capire, è come se l’arcivescovo di Milano avesse invitato un paio di imam alla Veglia Pasquale, trovando per loro tempo e persone (con tutto quello che c’è da fare) per presentare loro le strutture e le persone (hanno voluto che facessimo conoscenza con il teologo che ha predicato durante i 29 giorni del Ramadan e con un su- per-teologo venuto dall’Egitto per la notte santa). Credo che possiate immaginare lo stupore dei fedeli presenti in moschea, soprattutto delle donne, quando la nostra guida ci ha accompagnato nella sala dove pregano le donne e dove, neanche loro, uomini musulmani, si permettono di entrare. Il tutto con una cordialità e ospitalità veramente squisite. Il giorno dopo, le nostre foto e il racconto della nostra visita erano già su molti siti internet e ho ricevuto, da parte di alcuni cristiani, il ringraziamento per questo passo. Se a Taldykorgan, in tutti questi anni, è stato il primo incontro (e torno a sottolineare: a causa delle persone e non delle religioni), non è poi così raro che si organizzino tali incontri e si intessano tali rapporti. So benissimo che siamo abituati a sentire racconti del tutto diversi del rapporto tra mussulmani e cristiani, ma qui la situazione è così e, anche se siamo coscienti che non significa evangelizzazione e conversione al cristianesimo, sappiamo che, almeno con alcuni di questi nostri fratelli, il dialogo e il rapporto pacifico e, perchè no, di amicizia, è possibile. Credo sia una grande speranza!!!

In DIRE CRISTO, a cura di Adriano Bertero
dal n. 3/2017 della Rivista Porziuncola



Dialogo Intervista Kazakhstan Luca Baino Missioni estere Poveri

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