La seconda tappa del nostro percorso, ci costringe a fare i conti con la realtà del peccato. Nella prima tappa abbiamo sondato la grandezza della libertà cristiana come libertà “da” ogni condizionamento e “per”, ovvero finalizzata alla realizzazione di se stessi nella piena comunione con Dio. Pur ferita dal peccato, la nostra libertà conserva tutta la sua grandezza, specie se illuminata e sostenuta dalla grazia di Dio.
Vediamo adesso il “fallimento della libertà”, ovvero il peccato.
«Tutti noi siamo peccatori, chi è senza peccato alzi la mano» ha detto a braccio papa Francesco all’udienza di mercoledì 30.03.2016). Una domanda che rilancia la ripresa di consapevolezza personale di una realtà che appartiene ad ogni uomo: il peccato. «Il peccato, chi lo potrà mai spiegare?» si domanda il salmista (cf. Sal 19,13).
Se il peccato è opposizione radicale a Dio, conseguenza del cattivo uso della libertà creata, Dio tuttavia lo ha permesso. Infatti, nel mondo in cui l’uomo è stato creato come essere razionale e libero, il peccato non solo era ed è possibile, ma si è dimostrato anche un fatto reale «sin dall’inizio» (Gen 3). Da questo fatto, conosciuto dalla rivelazione e sperimentato nel le sue conseguenze, è possibile dedurre che, agli occhi della trascendente sapienza di Dio, nella prospettiva della finalità di tutta la creazione, era più importante che nel mondo creato vi fosse la libertà, anche col rischio di un suo cattivo impiego, piuttosto che privarne il mondo per escludere in radice la possibilità del peccato (cf. Giovanni Paolo II, 21.05.1986).
Solo sullo sfondo del rapporto instaurato con Dio mediante la fede diventa comprensibile la realtà totale del peccato, la sua essenza. Se si tratta della rivelazione e prima di tutto della Sacra Scrittura, non si può presentare la verità sul peccato in essa contenuta, se non tornando all’”inizio” stesso. In un certo senso, poi, anche il peccato “attuale”, appartenente alla vita di ogni uomo, diventa pienamente comprensibile in riferimento a quell’”inizio”, a quel peccato del primo uomo. Il Concilio Vaticano II ricorda: “Costituito da Dio in uno stato di santità, l’uomo però, tentato dal maligno… abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio” (Gaudium et spes 13).
Tuttavia la situazione di debolezza ereditaria non cancella la libertà dell’uomo. Quando Gesù Cristo, il giorno prima della sua passione, parla del “peccato” di cui lo Spirito Santo deve “convincere il mondo”, spiega l’essenza di questo peccato con le parole: “Perché non credono in me” (Gv 16,9). Quel “non credere” a Dio è in un certo senso la prima fondamentale forma del peccato, che l’uomo commette contro il Dio dell’alleanza, ma già manifestata nel peccato originale (cf. Gen 3). Questa incredulità indica che, peccando, l’uomo non solo trasgredisce il comandamento, ma realmente si erge contro Dio stesso, “bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio” (Cf. Giovanni Paolo II, 29.10.1986).
Esistere “come se Dio non esistesse” costituisce “l’intima natura di ogni peccato”, che porta l’uomo a “chiudersi completamente dentro al cerchio delle relazioni umane” (Reconciliatio et poenitentia 18). Al contrario, il solo luogo in cui “l’intera verità dell’uomo appare in tutta la sua paradossale interezza” è Gesù Cristo.
In ABCEDARIO DELLO SPIRITO, a cura di Massimo Travascio
dal n. 4/2016 della Rivista Porziuncola
Abecedario dello Spirito Libertà Massimo Travascio Peccato Vita
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