Riportiamo questo articolo di p. Giuseppe Buffon sull'Osservatore Romano a poche settimane dal suo intervento ad Assisi alla giornata di Festa della Vocazione Francescana.
La Pontificia Università Antonianum ha messo a frutto, recentemente, le acquisizioni di quattro seminari interdisciplinari sui temi della ecologia integrale, svoltisi negli ultimi due anni. Con tre precorsi sull’ecologia urbana, riguardanti metabolismo, flussi e scale, ha introdotto gli studenti del percorso professionale in ecologia integrale, giunti alla seconda settimana di diploma, a un progetto di ecologia integrale, da discutere e verificare con esperti di differenti discipline, dall’ingegneria ambientale, all’etica della comunicazione, dall’economia all’ingegneria manageriale, dall’antropologia all’etica.
La ricerca di una interdisciplinarietà, che ha coinvolto esperti, non solo di scienze teologico-religiose ed etico-filosofiche, ma anche di scienze empiriche, provenienti da centri universitari non pontifici, riteniamo sia il presupposto indispensabile per riflettere in modo adeguato sulla crisi ambientale. Sull’interdisciplinarietà, inoltre, fa affidamento anche il progetto di Rete internazionale per l’ecologia integrale, cui sta lavorando l’Antonianum già da alcuni anni. Soltanto radicandosi in un sostrato culturale, arricchito dal confronto interdisciplinare, la cura della casa comune può ambire a proporsi, non più unicamente come un fare e un denunciare, ma anche come un pensare e un concepire nuova progettualità.
Porta d’accesso al lavoro interdisciplinare è sicuramente l’incompletezza del proprio esercizio scientifico, che ogni studioso deve essere disposto ad ammettere, quando si confronta con colleghi di altre discipline. Alla cifra dell’incompletezza si appella Papa Francesco nella conclusione del capitolo primo della Laudato si’, che presenta una panoramica sui dati scientifici concernenti la crisi ambientale: «Su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione». Proprio il principio dell’incompletezza, per altro, già enunciato nella Gaudium et spes, costituisce, per Francesco, il criterio di giudizio della stessa qualità scientifica dell’esercizio teologico: «Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre». Dunque, il teologo che intende dialogare con le scienze empiriche, fino a schierarsi, come, ad esempio, nella Laudato si’, a favore degli studiosi, che evidenziano i dati sulla crisi ambientale, deve assumere l’incompletezza come codice del suo dire e del suo argomentare.
Al contrario, come indicato ancora dalla Laudato si’, la chiusura autoreferenziale, tradotta in rifiuto aprioristico del dialogo interdisciplinare è già, di per sé, un atteggiamento non scientifico, irragionevole, quindi irreale.
Che l’autoreferenzialità voluta sia da giudicare come autentica ignoranza, non ha dubbi Papa Francesco: «Le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà» (Laudato si’, 138). Spesso è la stessa pigrizia intellettuale che, accontentandosi dell’immediato o dell’utile, rinuncia alla scientificità, delegando l’esercizio della propria responsabilità alla tecnologia: «All’origine di molte difficoltà del mondo attuale vi è anzitutto la tendenza, non sempre cosciente, a impostare la metodologia e gli obiettivi della tecnoscienza secondo un paradigma di comprensione che condiziona la vita delle persone e il funzionamento della società» (Laudato si’, 107). Le decisioni importanti, quelle concernenti la politica, la società, la cultura e l’etica, vengono lasciate ai tecnici: il “si può” diventa il “si deve”.
Il paradigma dialogico si impone, dunque, quale presupposto indispensabile, non solo per avviare il lavoro interdisciplinare, ma anche per garantire la plausibilità dell’esercizio scientifico, la sua stessa scientificità.
Il senso dell’incompletezza, il superamento dell’autosufficienza e dell’esclusivismo, l’apertura al dialogo non bastano ancora, però, a garantire una metodologia capace di armonizzare sinergicamente i differenti saperi. Questa stagione culturale, segnata dalla “fine delle teorie”, postula un approccio sistemico, che punti più alla descrizione che alla spiegazione, più al riconoscimento dei nessi e all’analisi delle correlazioni che alla ricerca dei perché, causali o anche solo esplicativi, più all’intercettazione della radice comune che alla semplificazione tecnocratica, imposta da un puro utilitarismo economico: «Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali» (Laudato si’, 139).
La vera sfida dell’approccio interdisciplinare concerne, però, il nesso tra scienze empiriche e scienze dello spirito, dove è in gioco la stessa correlazione tra natura e cultura. Si tratta, in questo caso, di riconoscere, non solo alle scienze umane, ma anche alle arti in generale la stessa efficacia euristica, che comunemente viene attribuita alle sole scienze empiriche, scienze dell’utile, propulsive del progresso tecnologico.
L’approccio integrale alla realtà, nella consapevolezza che “tutto è connesso”, invita, però, a superare la mera interdisciplinarietà o trans-disciplinarietà e a guardare addirittura verso una meta-disciplinarietà, che si faccia carico della stessa “inequità” di cui è vittima anche la politica culturale. Considerazioni su fenomeni locali, marginali e minoritari, indispensabili per l’intelligenza del tutto, spesso vengono, infatti, esclusi dal dibattito internazionale e dal consesso stesso della comunità accademica a causa del loro peso politico. Questa rassegna di criteri suggeriti dalla Laudato si’ per una interdisciplinarietà integrale, non può considerarsi esaurita, se non si aggirerà il criterio antropologico, che prevede la dimensione verticale, oltre a quella orizzontale, sociale. Una antropologia integrale include, infatti, la dimensione esistenziale o spirituale, toccando la dimensione degli affetti, del corpo, del quotidiano, fatto di piccole scelte, lavorative, familiari, amicali: «L’educazione ambientale dovrebbe disporci a fare quel salto verso il Mistero, da cui un’etica ecologica trae il suo senso più profondo» (Laudato si’, 2, 10).
di Giuseppe Buffon, fonte L'Osservatore Romano
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