La sera del 23 luglio 1814 un frate, solo, rimette piede nel chiostro deserto di Santa Maria degli Angeli. Era stato l’ultimo a lasciarlo cinque anni prima, ora è il primo a rientrarvi e vi trova desolazione e distruzione. Costretto a rifugiarsi a casa dei suoi genitori a Bologna per via della bufera napoleonica che si era abbattuta su tutti i conventi d’Italia e non solo, aveva riattraversato gli Appennini per tornare alla sua amata Porziuncola. Nella cronaca, ripresa proprio in occasione del suo ritorno e scritta da lui in terza persona, tenta di testimoniarci il suo stato d’animo: “non trovò ad attenderlo nessuno dei suoi Fratelli. [...] A questo Sagro Convento toccò la fatale disgrazia di essere demolito nell’interno. Molto si addolorò il religioso nel vedere che il convento avea cangiato forma, ed idea. Vide i dormitorj dei sacerdoti ridotti a lunghi cameroni per cui tolti i contrasti dei fondelli, piantati degli archi sul falso sfiancavano i muri maestri e le volte, non avendo appoggio, facean sì che tutto il fabbricato fosse per cadere. Il simile del noviziato, dei dormitori dei laici e dell’infermeria. Osservò poi che abitandovi, non era salva la propria vita. Tanto era grande la rovina che minacciava la detta fabbrica.”
Lo conosceva molto bene quel convento, lui, fr. Luigi Ferri; ne era infatti stato il foresteraro, il volto della comunità, colui che si occupava d’accogliere i religiosi, i pellegrini, le autorità in visita alla Porziuncola, che manteneva i rapporti con i benefattori e con i messi delle grandi case regnanti europee e delle diocesi dell’intera cattolicità. Chissà cosa si figurava di trovare nei giorni di cammino da Bologna ad Assisi? Ora si trova di fronte un rudere che porta i segni di quella che lui stesso definisce “un mar di tristezza e di lagrime”, ovvero la soppressione degli ordini religiosi, l’occupazione francese dello stato pontificio e il rapimento del pontefice. Ma, da uomo di fede, ricorda a se stesso e a noi lettori che “è registrato nelle sagre Carte che la Navicella di S. Pietro non perirà mai. Anzi, quante volte essa venga battuta da fiera tempesta, altrettante sorgerà illesa, piena di vittoria, portando il trionfo della Religione.” Per questo, con grande smania e desiderio di ritornare si era messo in viaggio verso la Porziuncola appena l’Imperatore corso era caduto dal suo trono.
Ma ora, che fare? Solo, senza un denaro e senza neppure un abito? La prima cosa che pensa è andare alla tomba di Francesco per affidarsi a lui. Gli viene detto che lì i frati erano appena rientrati: perché non chiedere aiuto ai frati conventuali custodi della tomba del Santo? Si incammina lungo l’ormai abbandonata mattonata che sale verso il colle Inferno, e bussa alle porte del sacro convento di Assisi. I frati conventuali lo accolgono a braccia aperte e lo ospitano offrendogli sostegno e una vita comunitaria. Da lì inizia l’infaticabile opera che avrebbe portato il suo nome a intrecciarsi a filo doppio con la storia della basilica e del convento della Porziuncola fino alla sua morte, il 27 marzo 1852.
Incitato dagli stessi frati conventuali, prima chiede aiuto al vescovo e ai cittadini di Assisi, poi commissiona un progetto di ristrutturazione all’architetto Lorenzini di Perugia, infine si rivolge al papa per un aiuto. Grazie al pontefice riesce a raccogliere 3000 dei 9000 scudi che servono. Tanto basta per iniziare! Nel frattempo, poco alla volta, rientrano altri frati alla Porziuncola, che timidamente si affacciano per ricominciare la loro vita francescana e il 4 ottobre 1814 i trenta religiosi rientrati celebrano, con una processione che parte dalle loro celle appena restaurate, la solennità di San Francesco. Con il ripristino della normale vita religiosa, ricominciano ad arrivare anche i fedeli, e con loro la Provvidenza, la quale “piove sopra di essi a larga mano i suoi benefici” perché, come scrive fr. Luigi, “quando Iddio conosce le rette intenzioni degli uomini, in tutte le urgenze li aiuta”. Nel giro di pochi mesi la somma pervenuta è sufficiente per terminare i lavori del convento e riattivare le tre foresterie di allora: quella dei religiosi, in particolare per coloro che venivano i giorni del Perdono, quella dei secolari (l’edificio alla sinistra della Piazza della Basilica) e quella delle donne (l’attuale palazzo del capitano del Perdono, alla sinistra della basilica).
A questo punto fr. Luigi può rivolgere la sua attenzione alla basilica: “Eccitava commozione al di lui animo la rovina che minacciava la gran Basilica entro cui si contiene la S. Cappella. Era essa ridotta quasi senza finestre e senza Bussole, onde invece di una chiesa sembrava dimorare in una aperta campagna”. Ma, ancora, serve denaro per i lavori. Riparte allora l’instancabile fr. Luigi alla volta di Roma per ottenere altri finanziamenti sufficienti almeno per iniziare i lavori e acquistare tutto il necessario per le celebrazioni liturgiche che era stato disperso con la soppressione napoleonica. Roma, tuttavia, è solo l’inizio. Negli anni successivi fr. Luigi inizia una peregrinazione per tutta Europa in cerca di fondi per proseguire i lavori. Dall’Italia settentrionale a quella meridionale, dall’Austria al Belgio, dalla Francia alla Spagna, dall’Ungheria alla Polonia, su mandato del papa, del ministro generale e dei superiori locali, fr. Luigi riesce a raccogliere una somma tale da riportare, nel giro di circa un decennio, la basilica e il convento al loro splendore. Viene rifatta l’infermeria nel lato del convento verso Assisi; è ricostruita la biblioteca, “ridotta ad una spelonca” e svuotata di tutti i suoi preziosi volumi trasportati dal prefetto del Trasimeno al ginnasio di Spoleto; comprato il mobilio per tutto il convento, restaurata la cappella del SS. Sacramento… Nella cronaca fr. Luigi riporta con acribia tutte le opere portate a termine e inserisce pagine intere di elenchi di beni acquistati, con relativo prezzo; ci aggiorna anche di tutte le visite di pontefici, cardinali e vescovi, sovrani e regine, principi e nobildonne, duchi e duchesse, che vengono a rendere omaggio alla Vergine degli Angeli e ad ammirare il santuario riportato al suo splendore primitivo.
Tra il 1822 e il 1829 vengono restaurate e ripulite tutte le cappelle laterali della basilica; nel 1829 si mette mano al restauro della Porziuncola, per ultima, che viene intonacata di nuovo e fornita di una nuova facciata. È lo stesso fr. Luigi che si reca a Roma e il 9 maggio porta con sé ad Assisi il pittore tedesco Johann Friedrich Overbeck che dipinge la facciata della Porziuncola con l’affresco che ancora oggi possiamo ammirare. L’anno successivo vengono acquistati i quattro quadri con la storia del Perdono del pittore Stefano Montanari ora ubicati sotto le statue dei profeti nei pilastri che circondano la Porziuncola.
La cronaca dedica alla festa del Perdono, in questi anni della ricostruzione, poco spazio, semplicemente per ricordare che non si registrano né gli incidenti né gli abusi che avevano accompagnato buona parte del ’700. Gli unici due cenni di nota sono legati alla processione iniziale della festa e all’apertura notturna della basilica. All’inizio del secolo, infatti, per evitare tensioni e assembramenti, era stata vietata da papa Pio VII la processione che, partendo dalla basilica di San Francesco, giungeva alla Porziuncola per l’apertura del Perdono portando la reliquia del Sacro Velo della Vergine Maria. Negli anni ’20 viene reintrodotta, con dubbi e perplessità della comunità angelana, ma il cronista fr. Luigi vuole comunque sottolineare come i temuti disagi non siano occorsi. Un’altra decisione, su proposta dello stesso fr. Luigi, è quella di chiudere la basilica durante la notte nei giorni del Perdono. Ormai le foresterie erano ben attrezzate e negli anni ’30 dell’Ottocento ormai il paese di Santa Maria degli Angeli stava muovendo i suoi primi passi e poteva rispondere all’esigenza di ospitare i pellegrini, beneficiando degli introiti di questa accoglienza. Viene quindi deciso di non permettere più ai pellegrini di dormire in basilica, evitando così anche i tanti episodi incresciosi di cui si ha testimonianza nel corso dei secoli precedenti e che il cronista ricorda nei minimi dettagli...
Anche il Perdono del 1831 scorre con tranquillità. Nessuno pensa, in quella serena estate, che sarebbe stata l’ultima festa del perdono per alcuni anni. Qualche mese dopo, infatti, il 27 ottobre, alle 12 in punto, viene sentita distintamente una scossa di terremoto con epicentro nella vicina Foligno. Un’altra arriva il 6 novembre. Nel giro di pochi mesi altre due scosse minano la stabilità del convento e della basilica, che all’indomani delle ultime scosse, una il 13 gennaio e ben sette il 13 marzo 1832, collassa sotto il suo peso: “alle ore 8 italiane del giorno 15 la gran Mole dovette cedere e precipitare, che in due volte cadde la gran navata di mezzo e l’altra mano sinistra quando si entra in chiesa. Non si puole esprimere quanto fu grande il precipizio, che il gran rumore si fino in Assisi e Bastia. La confusione, il dolore e la paura, che ne provò la comunità religiosa nel sentire e vedere sì orribile flagello. L’altra Navatella, rimasta sospesa, miracolosamente, e in breve si dovrà scaricare anche questa. La gran Mole della grandiosa Cupola, rimasta isolata, è miracolosamente sostenuta.”
Con tempismo straordinario, il pontefice Gregorio XVI, il giorno 7 febbraio, mentre ancora le scosse si susseguivano incessanti, aveva già accordato a fr. Luigi Ferri un breve dal titolo Venerabiles fratres, diretto a tutti i vescovi dell’Orbe cattolico, con cui si accordava al foresteraro della Porzuncola il mandato di raccogliere ovunque elemosine. È tempo per fr. Luigi di rimettersi in cammino per le strade d’Europa, un continente di nuovo in subbuglio per i moti patriottici e risorgimentali. Il 13 maggio 1832 il religioso “si pose nel gran viaggio”, certo, come lui stesso scrive, che “se il Signore manderà Provvidenza, si potrà nel lasso di anni riparare alle rovine, non solo della basilica, non che di tutto il convento, il quale è tutto rovinato”. Fr. Luigi sa che di fronte a lui si apre un’impresa titanica, lunga e pericolosa, per cui, da buon francescano, non vuole rinunciare ad avere con sé un altro frate, fr. Pasquale di Spello, con il quale condividere la peregrinazione che lo attende. Insieme sarebbero rientrati alla Porziuncola solo dopo tre anni e mezzo. Un’altra volta, il convento e la basilica sarebbero risorti dalle macerie e ancora per diversi anni la figura di questo incredibile frate sarebbe rimasta legata a doppio filo a questo luogo santo.
a cura di Mauro Botti dal n. 4/2017 della Rivista Porziuncola
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