Su richiesta del Capitolo generale dei Frati Minori Conventuali, Benedetto XIV dichiara, il 6 settembre 1741, san Giuseppe speciale patrono del nostro Ordine Serafico, unico tra gli Ordini francescani ad aver fatto questa scelta. Ma la domanda legittima che ci si può porre è “come mai?”; ovvero: cosa hanno visto in Giuseppe i frati di Francesco per affidare a lui se stessi e il proprio Ordine? C’è una sorta di affinità, di riconoscimento vicendevole? Qua possiamo tentare di abbozzare una risposta, consapevoli però che le iniziative di grazia che si muovono nei cuori – così del resto come lo scattare di un’amicizia o di un innamoramento − non sono afferrabili, benché siano affidabili.
Alla base c’è una percezione del mistero della DivinoUmanità, della benevolenza e dell’umiltà di Dio che risplende mitemente in Cristo per amore nostro, mistero del quale Giuseppe ne è ministro: Dio si fa uomo perché l’uomo diventi “dio”. Il Bambino del presepe è Colui sul quale il Padre dice: “Questi è il mio Figlio amatissimo, in Lui mi sono compiaciuto, mi sono sentito bene in Lui, in Lui ho trovato il mio posto, il mio spazio”. In effetti il cielo si apre su di lui e passa per lui (Gesù dirà: “io sono la porta…”) in modo che chi entra per lui arriva al principio della sua genealogia umana e la sorpassa, collegandola al mistero che la origina. Quando si celebra l’evento della nascita a Betlemme è da dentro questa prospettiva che gli occhi guardano. Forse noi non ci rendiamo conto della immensa sproporzione e inadeguatezza tra la povertà del segno indicato (un bambino giace nella mangiatoia) e lo splendore della visione celebrata con gli angeli che lodano Dio, con la luce che risplende, con la letizia immensa e incontenibile che riempie i cuori.
Lo stupore e la gratitudine, il fascino per il modo di essere e di fare di Dio in Gesù, resosi nostro fratello nella mitezza e nell’umiltà − nella “minorità” −, risplende e suscita un’attrazione irresistibile nell’animo francescano. Consideriamo in questa luce la figura di Giuseppe. Il vangelo presenta Giuseppe proprio come il custode del segreto di Dio, nella concretezza e nel dramma della vita quotidiana, custode della tenerezza di Dio per l’umanità, che per lui si concentrava nella sua famiglia, luogo di rivelazione di Dio nel mondo e la sua storia è storia di questa famiglia, storia per questa famiglia. La realizzazione di sé, come diremmo oggi, passa per l’assunzione di un compito di grazia che fa dell’obbedienza a Dio, nel cammino di fedeltà all’assolvimento di tutto ciò che un tal compito comporta nel concreto delle situazioni, la porta dell’amore. Porta che può essere intravista solo se gli occhi del cuore “vedono” quanto basta per non tirarsi indietro.
A Greccio, secondo le antiche biografie poi tradotte in affreschi da Giotto, il pater Franciscus “divenne” Giuseppe − nell’ audace espressione di Paul Payan −, portando il Bambino in braccio, nella notte di Natale del 1223. Sembra quasi che il frate minore, dopo e dietro di lui, ritroverà spesso se stesso nel ruolo, umile, povero e prezioso, di Giuseppe: ministro, servo e custode di un Mistero che è al centro, l’Emanuele nato da Maria. Così, i frati ben presto si specchiano in Giuseppe: per sant’Antonio di Padova è simbolo di povertà (come Maria lo è di umiltà); san Bonaventura lo sceglie ripetutamente come esempio in diversi sermoni, anche per “i dottori e predicatori che cercano Cristo nelle Scritture” (dettaglio notevole dato lo sviluppo dei francescani, proprio sotto la guida di Bonaventura, verso un Ordine “dotto” come quello dei domenicani).
Il beato Duns Scoto, sorprendentemente, perfino applica a Giuseppe e al suo matrimonio i parametri giuridici di dominium et usus che preoccupavano l’Ordine riguardo alla legittimità della loro vista religiosa ed il difficile rapporto tra i beni e la povertà professata, acuitosi dopo la bolla Exiit qui seminat del 1279. I frati si riconoscono in Giuseppe: come lui, loro sono “custodi” e “guardiani” di chi è loro affidato; come lui cercano di essere umili e obbedienti, poveri e casti; come lui vogliono rimanere “minori”, al servizio di un Mistero che li sovrasta e per il quale scelgono di spendere le loro vite, nella ricerca dell’intimità con Gesù e Maria. Giuseppe è un esempio, un modello, un intercessore; quindi man mano, accanto alla Vergine sua sposa, occupa il posto e riempie discretamente le funzioni di protettore e tutelare dei frati e dell’Ordine tutto.
Questo è lo sviluppo e la novità che si esplicita nel corso del XVIII secolo: sentire il bisogno, come Ordine, e ricorrere all’aiuto mettendosi sotto la protezione potente di qualcuno del quale si ha esperienza, che accudisce e custodisce. Sembra quasi che nel secolo dei lumi, nonostante la rigogliosa fioritura dell’Ordine nei decenni che precedettero la rivoluzione francese, i frati si sentono bisognosi di un protettore potente; si sentono veri fratelli “minori” nella famiglia di Giuseppe e desiderosi di essere da lui tutelati. Nonostante una certa disattenzione negli ultimi decenni, quella dinamica di grazia, dentro la quale i frati hanno riconosciuto in Giuseppe i tratti della propria vocazione e del proprio volto, continua ad operare e a portare germogli e frutti. Che il suo efficace Patrocinio ci modelli ad immagine di “Gesù. Il figlio di Giuseppe” (Gv 1, 45), mite ed umile di cuore.
di Guglielmo Spirito
dal n. 98 di San Bonaventura informa
Photo credit: Michael O'Sullivan on Unsplash
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