Pietro Garavito (il futuro fra Pietro d’Alcantara) nasce nel 1499 ad Alcántara di Estremadura (Cáceres). Il padre muore quando il piccolo ha l’età di otto anni. La madre, con sei bambini, si risposa con un vedovo che ha cinque figli. L’infante Pietro mostra buone attitudini alla preghiera e allo studio della teologia. É indirizzato all’attività dello studio dal patrigno e raggiunge un buon livello di preparazione. Il giovane riscuote consensi nella filosofia e nel diritto. Intanto in lui si fa strada la vocazione religiosa. All’età di sedici anni parte da casa per raggiungere il noviziato di una giurisdizione dei francescani conventuali. Viene ordinato sacerdote nel 1524 e si dedica con frutto all’attività della predicazione. Gli vengono affidati anche incarichi di governo che cura con particolare saggezza.
Libero da questo genere di incombenze dal 1534 può dedicarsi alla riforma della vita francescana che nel suo cuore sente essere particolarmente urgente. Si ritira nella diocesi di Coria e, in un secondo tempo dopo essersi trasferito a Roma, chiede e ottiene il consenso per inaugurare una nuova fondazione, quella detta degli Scalzi che pian piano cresce e si diffonde in tutta la Spagna. Ha modo di incoraggiare anche Teresa d’Avila nel suo tentativo di riforma. Ovviamente i frati lo pongono a capo della novella famiglia francescana. Il suo cammino spirituale è contrassegnato dalla contemplazione e dalla penitenza. Muore il 9 ottobre 1562 dopo quarantasette anni di vita francescana. Lascia alcune opere di gran valore: il Trattato dell’orazione e meditazione, le Costituzioni delle Province di S. Gabriele e di S. Giuseppe, il Commento al salmo Miserere, le Lettere e la Traduzione dei soliloqui di S. Bonaventura.
L’itinerario proposto da questo santo nei suoi scritti si rivela particolarmente concreto e ricco spiritualmente. Penitenza e orazione sono il cardine del suo percorso che è un continuo praticare l’ascesi e la meditazione sui divini misteri secondo uno stile improntato al raccoglimento e alla povertà. La preghiera assume un grande risalto nel silenzio dell’eremo e l’«annientamento di sé», inteso come progressiva spoliazione dal proprio egoismo, rappresenta il costante combattimento spirituale che porta avanti, invitando quanti si rivolgono a lui a fare altrettanto. Il suo è un ideale altamente contemplativo che ha come finalità la dimensione contemplativo-mistica e come presupposto il continuo sforzo ascetico.
La sua dottrina e il suo esempio vanno ad edificare ed incoraggiare non poco la grande mistica carmelitana Teresa di Gesù. Davvero rilevanti sono le espressioni di questo santo riguardo la meditazione: «Alla lettura segue la meditazione del passo che abbiamo letto. Questa alcune volte verte su cose che si possono immaginare come sono tutti i passi della vita e passione di Cristo, il giudizio finale, l’inferno e il paradiso; altre volte riguarda cose che appartengono più all’intelletto che all’immaginazione, come la considerazione dei beni di Dio, della sua bontà, giustizia e misericordia o qualsiasi altra delle sue perfezioni. Questa meditazione si chiama “intellettiva”, l’altra “immaginativa”. Siamo soliti usare in questi esercizi l’una e l’altra, come lo richiede l’argomento» (Trattato dell’orazione e meditazione, VIII). Per mantenere uno stile orante e contemplativo è necessaria la pratica dell’ascesi che è frutto di una preghiera intensa e fervorosa, custodendo e favorendo la meditazione.
Significative sono anche le seguenti espressioni: «La vita cristiana è una continua croce e una continua preghiera. Quando dico croce intendo di tutto l’uomo e di tutte le sue parti, poiché tutte rimasero ferite per il peccato e tutte hanno bisogno di coltello e di riforma […]. Tutte queste croci sono necessarie e questa è la correzione e la morte che deve abbracciare ed eleggere la nostra anima perché morta alla vita del primo Adamo, viva la vita del secondo. Senza questa croce a nulla valgono tutte le nostre cose se non per vivere più ingannati, tanto che non ne trae profitto il lavoro senza la preghiera, perché non sarà duraturo, né la preghiera senza il lavoro, perché non sarà fruttuosa. Con questi mezzi saremo tempio di Dio, che aveva due luoghi: uno del sacrificio l’altro della preghiera. Con questo andremo al monte della mirra e alla collina dell’incenso, salendo per il colle al monte, cioè per la dolcezza della preghiera all’amarezza della mortificazione» (Trattati brevi di vita spirituale, 2).
Pietro descrive gli effetti della preghiera che mettono in movimento tutti i moti interiori del cuore. L’orazione fa nascere fervore e determinazione nell’operare il bene, dispone il credente anche al sacrificio e alla fatica pur di rispondere al meglio all’amore di Cristo e, inoltre, attraverso le dimensioni meditativa e contemplativa, la devozione rimane ben salda, rappresentando uno stimolo nel perseverare nel bene. Vi è una circolarità tra orazione e sforzo visto che entrambe si rafforzano vicendevolmente e cooperano per il massimo frutto, non ultimo quello della vita mistica. L’uomo ha bisogno di estirpare dal proprio cuore le radici del peccato mediante l’accettazione del mistero della croce che va a purificarlo e a rinnovarlo interiormente. Preghiera e impegno sono, dunque, unite nell’opera di santificazione del credente: si tratta di un grande insegnamento anche per l’uomo di oggi.
di Raffaele Di Muro
dal n. 100 di San Bonaventura informa
Preghiera Raffaele Di Muro San Bonaventura informa San Pietro d’Alcantara
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