Nato a Milano, dopo essersi laureato in medicina all’Università di Pavia, l’anticlericale e positivista Edoardo Gemelli ebbe modo di conoscere alcuni francescani iniziando un cammino di conversione. Su consiglio dell’amico Ludovico Necchi il neo medico venticinquenne cominciò a frequentare il giovane sacerdote Giandomenico Pini confidandogli quanto stava accadendo nella sua vita (cfr. Nicola Raponi, Per una storia dell’Università Cattolica. Origini, momenti, figure, Brescia 2017, p. 33-34). Dopo un colloquio così gli scrisse il 13 maggio 1903 colui che a distanza di un anno sarebbe entrato nel convento francescano con il nome di Agostino:
Io non so della vocazione altro che quello che volgarmente si intende. Troppo poco mi sono nella mia vita fermato a considerare le cose dello spirito, perché ora sia in grado di valutarle, ancor meno conosco delle cose di religione, così che in questi giorni quando mi sono chiesto che cose è la vocazione, io non ho avuto nessuna risposta da dare a me. E ieri quando sono uscito da lei io mi sono chiesto - e con un certo timore: che io non abbia questa vocazione che io non conosco che di nome? Eppure sento qualcosa in me di diverso, sento qualcosa di indefinito, indeterminato, che ad un tempo mi fa felice e mi rattrista, che mi dà forza e mi abbatte, col pensiero a volte alla riuscita, a volte della caduta. Sento qualcosa che non saprei meglio esprimere che con la parola propulsione. Una propulsione a mia insaputa, al di fuori della mia volontà, al di fuori del mio cervello che mi spinge alla preghiera, alla adorazione di Dio, al pianto nel considerare la mia debolezza e la mia vita trascorsa, alla gioia nel pensare alla possibilità della eterna comunione dell’anima in Dio, che a mia insaputa mi conduce ad un tratto in una chiesa, piega le mie ginocchia, e fa articolare alle mie labbra preghiere che non ho mai saputo e piangere lagrime di gioia e di dolore insieme.
Quello che so di questo qualcosa che è nuovo in me è che mi sento condotto a fare il bene in onore di quel Dio che mi ha voluto a sé, a pregarlo, a onorarlo; a lasciare tutto il resto che con mille e mille parvenze a tratti mi tenta ancora. Se questa è la vocazione io l’ho. […]
Ma se m’ingannassi? Se la mia non fosse vera vocazione? […]
Se io m’ingannassi mi rassegnerei alla volontà di Dio, come sacrificio alla sua potenza. Ma non lo credo. Egli non può avere suscitato in me tanta serie di sentimenti inutilmente; attendo perciò con gioia quel giorno in cui ella mi dirà: sì, credo si tratti di vera vocazione, sia fatta la volontà di Dio. Io mi sogno quel giorno e frattanto nel pensarlo godo di una gioia divina, di una gioia nuova tanto viva quanto sono state grandi le amarezze delle gioie umane.
Agostino Gemelli Discernimento Vocazione
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