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Messaggio del Ministro generale OFM 17 Gen 2018

Settimana di preghiera 2018 per l’unità dei cristiani

Miei cari fratelli dell’Ordine dei Frati Minori,
e tutti i fratelli, sorelle e amici della nostra Famiglia Francescana,

il Signore vi dia pace!

“Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato!”. Questo inno di Mosè e di Maria, innalzato sulle rive del Mar Rosso, esprime meravigliosamente il tema della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno: la nostra comune vocazione a continuare l’opera salvifica di Dio e a guidare tutti i figli di Dio dalla schiavitù alla pienezza della libertà che suo Figlio, Gesù, ha ottenuto per tutto il creato.

Come ci ricordano le chiese dei Caraibi, che hanno preparato il tema di quest’anno, la schiavitù non è – purtroppo! – un fenomeno del passato. Fa invece ampiamente parte del nostro presente. Lo si può osservare attraverso le sue conseguenze, tuttora tangibili. Come fanno notare i nostri fratelli e sorelle caraibici, attingendo alla loro stessa esperienza, molte sfide del nostro tempo sono un lascito del passato coloniale e della tratta degli schiavi: la povertà sistemica, la violenza, l’ingiustizia, la dipendenza dalle droghe e dalla pornografia, la violenza domestica e criminale, le relazioni familiari rovinate. Possiamo sorprenderci di trovare tali frutti là dove la dignità umana è considerata una merce?

La schiavitù non è presente solo attraverso le conseguenze del passato. È presente in modalità a un tempo nuove e vecchie. Quanto spesso abbiamo sentito Papa Francesco deplorare le nuove forme di colonialismo attraverso cui le “nazione sviluppate” vogliono mantenere a tutti i costi il loro stile di vita, a danno degli “ultimi” tra i nostri fratelli e sorelle: i bambini, gli anziani, i poveri e persino “sora nostra matre Terra”? Se consideriamo la natura aggressiva di questa cultura dello scarto, c’è da meravigliarsi che la schiavitù persista? Oggi oltre 40 milioni di persone sono schiavizzate. La maggioranza di queste persone fatica in alcune delle ex colonie, che sono tra i paesi più poveri al mondo, ma di fatto non esiste nazione in cui qualcuno non sia schiavo.

In quanto discepoli di Gesù, nella cui spoliazione noi francescani siamo chiamati a camminare, non possiamo tacere, né mancare di rispondere nella fede alla realtà di un peccato così terribile; e questo fino al compimento dell’azione cui il nostro discepolato ci chiama.

All’inizio del suo ministero, Gesù ci ha offerto una concisa “dichiarazione d’intenti” per la sua opera. Basandosi sulle scritture di Isaia, egli stesso un deportato durante l’esilio babilonese di Israele, Gesù dichiara che genere di Messia intende essere:

“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore.” (Lc 4, 18-19)

Gesù è stato chiaro. È – e sarà per sempre – non solo il Salvatore delle nostre anime. È il Salvatore della persona umana nella sua totalità: dell’anima, del corpo e dell’intera rete di relazioni a cui apparteniamo in quanto persone, come le famiglie, le comunità e, in definitiva, la creazione tutta. Poiché il peccato non rende schiave solo le nostre anime. Rende schiavo ognuno di noi nella sua interezza attraverso circoli viziosi sempre più ampi. Gesù ci ha liberato da questa schiavitù totale, offrendoci in cambio quel dono di totale salvezza che è il Regno di Dio: un regno di verità e vita, un regno di santità e grazia, un regno di giustizia, amore e pace.

Se questa è stata la missione di Gesù, così lo è per noi in quanto membra del suo Corpo, sebbene sia una missione che nessun membro può sperare di compiere da solo. Non importa quanto possano essere sinceri i nostri sforzi individuali, né quanto una qualsiasi chiesa possa essere devota nel realizzare il Regno di Dio: la missione di Gesù appartiene a tutto il suo Corpo. Solo insieme, come suo unico Corpo, noi cristiani possiamo sperare di compiere quanto ci è chiesto nei confronti delle donne e degli uomini del nostro tempo: vivere in modo tale che possano credere nella vittoria che Dio ha ottenuto per loro in Gesù, suo Figlio amato, e radicati in questa fede, sappiano che insieme non fatichiamo invano.

In una maniera tipica della loro cultura condivisa, i nostri fratelli e le nostre sorelle dei Caraibi hanno musicato questa fede attraverso The Right Hand of God (La mano di Dio). Sebbene questo inno meriti di essere cantato per intero, come spero farete nelle celebrazioni locali di questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ora bastano alcune strofe per esprimerne il contenuto:

La mano di Dio
scrive sulla terra;
essa stila con potenza e con amore.
I nostri conflitti e le nostre paure,
i nostri trionfi e le nostre lacrime
lasciano traccia nella mano di Dio.

La mano di Dio
risana la terra;
essa guarisce i corpi, le menti e i cuori feriti.
Con tocco potente e indicibile amore
siamo guariti
dalla mano di Dio.

La mano di Dio
semina la terra;
essa pianta semi di libertà, speranza e amore.
In ogni terra e in ogni popolo
lasciamo che i bimbi si prendano per mano
e siano una cosa sola nella mano di Dio.

Miei cari fratelli, il Signore ha mirabilmente trionfato. Cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Non importa quanto spesso possano riemergere a minacciare la liberante vittoria che Dio ha ottenuto per i suoi figli in Gesù, suo Figlio amato: noi sappiamo che il nostro faticoso lavoro per salvaguardarla è stato esso stesso messo al sicuro in Gesù medesimo, che chiama i suoi discepoli ad essere una cosa sola, come lui e il Padre sono una cosa sola, “perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” (Gv 17, 21)

Con ogni benedizione a voi tutti nel vostro servizio del Vangelo,

Pace e bene,

Fr. Michael A. Perry, OFM
Ministro generale e Servo

PDF disponibile sul sito OFM.



Cristiani Ecumenismo Messaggio Michael Perry Unità

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