Vivo ormai da cinque anni nel convento della Santissima Annunziata di Amelia, in provincia di Terni. Il Convento è da secoli abitato dai Frati Minori francescani, che cercano di incarnare nei valori della fraternità e della minorità quell’amore universale annunciato da Gesù di Nazareth e vissuto da san Francesco, amore che rende tutti gli esseri umani tra loro fratelli. Attualmente siamo cinque frati, ben assortiti per età, formazione e luoghi di provenienza e ci occupiamo del convento, dell’accoglienza nella casa in autogestione, del Planetario, della parrocchia di san Massimiliano Kolbe, degli impegni pastorali affidatici dal Vescovo (il guardiano della fraternità è direttore diocesano della Caritas).
Giustizia, pace e integrità del Creato
Negli ultimi decenni la Chiesa e l’Ordine dei Frati Minori hanno osservato con crescente preoccupazione i sintomi sempre più gravi di un malessere che ha origine nel cuore dell’uomo e che estende i suoi effetti alla società umana, ma anche al mondo animale e a tutta la creazione. Per questo dopo il Concilio Vaticano II i frati hanno fondato al loro interno un ufficio che oggi ha il nome di Giustizia, Pace e Integrità del Creato (GPIC). Questo ufficio ha compiti sia verso l’interno che verso l’esterno della famiglia francescana. Verso l’interno l’ufficio si occupa di discernere i segni dei tempi, di aiutare i frati a incarnare i valori evangelici nelle mutate condizioni economiche e sociali e in conformità al Magistero, di custodire e incarnare il carisma di san Francesco in particolare negli aspetti della vicinanza agli ultimi e della custodia del Creato. Verso l’esterno l’ufficio ha il compito di dialogare con tutti gli uomini, di cogliere i suggerimenti delle scienze, di abbattere i muri e costruire ponti, di dialogare in modo costruttivo con le altre religioni, di elaborare modelli socio-economici finalizzati alla crescita universale e integrale dell’uomo e di tutta la Creazione.
Dal Capitolo della Provincia dei Frati Minori di Umbria-Sardegna del 2020, il Convento dell’Annunziata di Amelia è stato individuato come “casa di animazione GPIC”. Questa importante decisione fa del convento di Amelia un luogo deputato a catalizzare e sostenere una transizione, che necessariamente richiede una conversione, sia a livello personale che comunitario.
Per questo motivo stiamo studiando possibili percorsi esperienziali di conversione personale e comunitaria nei quali coinvolgere giovani e adulti desiderosi di trovare modi concreti per smettere di sottostare a un’economia capitalistica, a una finanza avara, a una tecnocrazia cieca, a una dittatura del positivismo, a una cultura frammentata e miope. Non luoghi dove trovare facili risposte (che non ci sono!) ma un luogo in cui imparare a porci domande e in cui tentare di pensare, progettare e attuare da fratelli percorsi concreti. Direbbe papa Francesco: “Quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli?”. Oppure in altre parole: qual è la posta in gioco? Direi molto alta, la nostra stessa vita. Rischiamo di impoverire e inquinare il mondo in maniera irreversibile e esponenziale, di alimentare la cultura dello scarto, di abbandonarci a una sostanziale indifferenza rispetto alla creazione e all’aggravarsi di forme antiche e nuove di povertà disumanizzanti, di guardare l’uomo con lo specchio deformante e possessivo di una individualità egoistica, di lasciare milioni di persone in uno stato di indigenza spingendoli a cercare fortuna migrando dalle loro terre di origine, di favorire la nascita e la crescita di organizzazioni mafiose che sfruttano le congiunture per i loro interessi. Rischiamo di perseguire l’idea distorta di uno sviluppo economico che finisce per creare sempre nuovi poveri e per distruggere l’ambiente naturale del quale facciamo parte e dal quale dipendiamo. In una parola rischiamo di fallire la nostra vocazione ad essere custodi del Creato, ritrovandoci sempre più tristi e soli e depressi, timorosi di rispondere alla domanda che ci pone il Padre della vita: “Adamo, dove sei?”. E sempre meno capaci di custodire il fratello che il Signore pone al nostro fianco, ripiegati in una ricerca edonistica di benessere personale. Illusi che sarà sufficiente continuare a costruire muri per garantirci di vivere sereni e in pace.
Lo desideriamo?
Verrebbe quasi da pensare che la complessità sia troppo grande, che i meccanismi dell’economia e della tecnocrazia siano troppo estesi, radicati e profondi per poter immaginare e realizzare un cambiamento. Eppure nell’enciclica Laudato si’ , papa Francesco affronta questi spinosi e attuali temi senza pessimismo e rassegnazione. Dopo aver preso coscienza che tutto è connesso e che nessuno si salva da solo, i cristiani sono chiamati a nutrirsi del vangelo della creazione per riappropriarsi di uno sguardo ampio sulla realtà. Non tutto è perduto e siamo liberi di attuare personalmente e come fraternità universale un’inversione di rotta. La domanda è: lo desideriamo? Custodiamo il desiderio di questo cambiamento? Oppure siamo come anestetizzati da uno stile di vita mortifero che infondo reputiamo di non poter cambiare (oppure scegliamo inconsapevolmente di voler abbracciare).
Il rischio per i cristiani è pensare che questi temi siano per addetti ai lavori, che non abbiano a che fare con la vita spirituale e con il messaggio e la sequela di Gesù Cristo. Ci fa bene ricordare che «chi desidera veramente dare gloria a Dio con la propria vita, chi realmente anela a santificarsi perché la sua esistenza glorifichi il Santo, è chiamato a tormentarsi, spendersi e stancarsi cercando di vivere le opere di misericordia» (Gaudete et exsultate, 107). Ma oggi più che mai queste opere di misericordia richiedono di mettersi in dialogo e in ascolto delle scienze, come mostra l’attuale pandemia. Ma non si tratta solo di garantire l’efficacia delle nostre opere. Si tratta anche di prendere atto dei risultati del lavoro scientifico e cercare di integrarli in una più ampia teologia della creazione le loro acquisizioni. Di più: la fede e la teologia possono dare il loro contributo per dare avvio a processi che rimettano la persona umana nella giusta posizione con tutto il resto, riscoprendo che il vero sviluppo non è quello economico, bensì quello delle relazioni. Perché essere pescatori di uomini oggi significa avere il coraggio di incamminarci in terreni che non sono solo quelli delle nostre assemblee liturgiche, sempre più incomprese e disattese. Significa fare tentativi di dialogo, di ascolto, di incontro, avendo il coraggio di lasciare la nostra confort-zone anche a rischio di abbandonare l’agio delle nostre certezze per trasferirci in un ospedale da campo.
E i battezzati che possono fare? E’ sufficiente pregare perché “tutto vada bene”, come abbiamo tante volte sentito dire durante il corso di questa epidemia di Covid-19? E’ sufficiente lamentarsi che il sistema è sbagliato e che noi non riusciamo a cambiarlo perché le strutture di peccato ormai sembrano essere così radicate da non poter essere cambiate? E’ sufficiente individuare le responsabilità dei politici, o immaginare oscuri complotti, dimenticando di essere conniventi con un sistema malato? In realtà ciascuno di noi può cercare di rispondere a queste domande, a seconda delle sue competenze, delle sue capacità, della sua vocazione specifica. Ma quel che è certo è che serve il contributo di tutti e che nessuno può esimersi dall’interrogarsi su quale possa essere il suo ruolo in questo grande processo di conversione.
San Francesco parla ancora…
Spesso mi interrogo non solo su quale possa essere il mio contributo personale, ma anche su quale sia il ruolo del carisma francescano in questa crisi. Che cosa lo Spirito Santo sta suscitando nella Chiesa e nell’Ordine? Quale il ruolo del movimento francescano, Primo, Secondo e Terz’ordine, ma anche tanti che si sentono affascinati dal Santo di Assisi?. San Francesco ha saputo testimoniarci un modo nuovo di vivere la relazione con Dio, coi fratelli e col creato, al punto che è stato scelto come patrono degli ecologisti. Oggi più che mai appare chiaro che non basta istituire un ufficio nell’Ordine per cambiare le cose, come non è sufficiente inserire l’ora di educazione civica nelle scuole per insegnare ai nostri figli uno stile di vita in linea con l’ecologia integrale.
Credo che il carisma francescano sia particolarmente chiamato in causa in questa fase della vita del mondo e della Chiesa. Minorità e fraternità, i due pilastri dell’intuizione carismatica di san Francesco, possono essere davvero i luoghi della nascita di una nuova visione dell’uomo: di questo faccio continuamente esperienza. Mi trovo spesso a raccogliere le affermazioni entusiaste di tante persone che entrano in contatto con la nostra fraternità. Alcuni bambini delle scuole a volte mi chiedono: “Fra Andrea, posso fermarmi qui? Non voglio tornare a casa!”, mentre gli adulti chiedono di tornare a vivere esperienze di fraternità. Molte persone entrano in contatto con la fraternità attraverso la visita al Planetario: mi piacerebbe registrare il cambiamento delle espressioni dei volti prima e dopo l’incontro. Persone di diverse culture e spesso atee, che arrivano in convento spesso con molti pregiudizi, alla fine mi dicono: “Non avrei mai pensato che viveste così”; “Fate una vita davvero molto bella”; “Non vedo l’ora di tornare”; “Si vede che c’è qualcosa di diverso nelle vostre vite”; “Grazie, perché siete custodi della bellezza”. Probabilmente ciò che ha toccato i cuori di queste persone è la testimonianza della nostra vita consacrata, della vita in fraternità.
E’ per questo motivo che ho intitolato questo articolo “Un tesoro in vasi di creta”. Perché a volte come frate ho la chiara percezione che l’esperienza di san Francesco e la grande tradizione francescana che ci precede, insieme all’attuale disponibilità a incarnare il carisma ,siano davvero un tesoro immenso che è stato posto nelle nostre mani. E «a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più», , perché il dono non ci è stato dato per essere nascosto ma per essere fatto fruttare a vantaggio di ogni uomo e di tutto il Creato.
I frati sono custodi quindi di un grande tesoro, costituito dalla loro vita spirituale, dalla centralità della dinamica eucaristica nelle loro vite, dall’esperienza del contatto con la povertà del cuore di ogni uomo, dalla fraternità, dall’apertura al dialogo, dal saper vivere insieme senza annullare le differenze, dall’obbedienza non solo agli uomini ma addirittura ad ogni essere della creazione (come diceva lo stesso san Francesco), dall’obbedienza alla Chiesa. Questo tesoro non è monopolio dei frati, ma condiviso con tutta la famiglia francescana, che oggi più che mai è chiamata ad essere come lievito che fa fermentare la pasta. Perché nessuno si salva da solo.
In LAUDATO SI', di Andrea Frigo
dal n. 2/2022 della Rivista Porziuncola
Andrea Frigo Ecologia Economia Laudato si’ Porziuncola Rivista Porziuncola
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