Nato nel 1923 a Rivarolo Mantovano e ordinato prete nel ‘46, si avvicina alla pittura nel ‘50. Dall’affresco alle vetrate, dal mosaico alla pittura su tavola, è lontano dal conformismo iconografico dell’arte sacra.

«Mi affaccio tremando all'Innocente condannato, al Giusto venduto, al Profeta deriso, al Signore della vita che i mortali fanno morire, al Glorioso nel fango.

A volte è come se dipingendolo mi accanissi piangendo a ferirlo, scandalizzando cristiani che mi accusano di irriverenza, non sopportando (come Pietro prima che ne fosse illuminato) lo scandalo di un Dio massacrato come un vitello, che spaventa anche me.

Nata dalla pietà popolare, che declina la “pietas” nell'umana compassione che è capace ancora di dire, dove il dono della semplicità è preservato, “poverino il Signore”, la pratica antica della Via crucis vuole accompagnare in qualche modo Gesù nel doloroso cammino verso il Calvario.

Le dolenti “stazioni” di quel cammino, non tutte garantite dai racconti evangelici, ma immaginate dal popolo, ci accompagnano ancora dalla umiliazione alla gloria, dal morire al risorgere, in un cammino che è quello del Signore ed è il nostro».