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Il racconto di Chiara Ludovica, suora di vita contemplativa 10 Ago 2017

Una presenza di Dio da credere

«…è la storia di amore appassionato
per il Signore e per l’umanità:
attraverso l’appassionata ricerca del volto di Dio,
nella relazione intima con Lui.
Voce della Chiesa che
instancabilmente loda, ringrazia,
geme e supplica per tutta l’umanità,
con la preghiera collabora con Dio stesso
a rialzare le membra cadenti
del suo Corpo ineffabile»

(Papa Francesco, Vultum Dei Quaerere, 9)

Ci prepariamo alla Festa di S.Chiara, mettendoci in ascolto di Sr Chiara Ludovica OSC (Ordo Sanctae Clarae), Abbadessa del Monastero Clarisse San Luigi, Bisceglie (BT) che in quest’articolo – tratto dalla Rivista San Bonaventura informa – ci aiuta ad entrare nella vocazione clariana attraverso la testimonianza diretta della loro vita di sorelle povere.

Una storia di Dio che pro-voca: Chiara d’Assisi

Guardando al cammino secolare della storia dell’Ordine delle Sorelle Povere, desideriamo condividere la via tracciata da Chiara d’Assisi con la sua esperienza di “donna cristiana”, come la definiva Francesco, partendo da quel principium ispirazionale, che si offre a tutti come criterio originale di ricerca spirituale e testimonianza evangelica, come pro-vocazione attraente e contagiosa alla sequela di Colui che sempre chiama alla vita vera e in abbondanza.

Una storia di Dio che pro-voca: la vocazione e la mediazione

Nella nostra stessa vocazione di Sorelle Povere “è innestato” il principium di una primogenitura carismatica, lì dove santa Chiara si definisce la planctucula di san Francesco: da quel primo dono di grazia che il Padre Serafico è stato per la sua pianticella, continua a perpetuarsi anche nella nostra esperienza la promessa di cura e sollecitudine dei suoi frati.

È familiarità d’affetto, dono d’amicizia che, attraverso i secoli, si trasmette con entusiasmo e gratitudine: la memoria dei nostri inizi scaturisce dalle origini della vocazione di Francesco. Infatti, come Lei stessa narra nel Testamento, non era passato molto tempo dalla costituzione della prima fraternitas francescana, forte di una semplice quanto paradossale ispirazione evangelica benedetta dal papa e formatasi sulle vie della storia e tra le vicende degli uomini e delle donne di quel tempo, che iniziò anche la nostra storia.

Stando alle fonti, un solo e medesimo spirito ha fatto uscire i frati e quelle donne poverelle da questo mondo. È affidamento reciproco nelle nostre storie fraterne e personali; cammino di comunione e condivisione che si rinnova ogni volta che ci ritroviamo come fratelli e sorelle intorno alla mensa delle “cose di Dio”. È legame carismatico, dono dello Spirito, che ci libera dalla tentazione di farcela da sé e ci consola quando non è bene essere soli. È riconoscimento di quell’unico e medesimo Spirito che ci pro-voca nella sfida della diversità, a testimonianza del modo stesso di essere del Dio Uno e Trino, la cui conoscenza si manifesta meglio nell’esperienza della reciprocità. E se la stessa madre Chiara, negli scritti che ci lascia, non lesina a ricordare gli immensi doni a noi elargiti per mezzo del beato Francesco nostro padre, con la parola e con l’esempio, raccogliamo a piene mani i frutti maturi e sempre fecondi della loro esperienza, godendo della mediazione di entrambi come dono generoso di Dio e segno particolare del Suo Amore, mentre continuiamo a scrivere le pagine di questa storia più che secolare nei nostri vissuti.

Una storia di Dio che pro-voca: il carisma dell’”Altissima Povertà e Santa Unità”

Autentica, marchio originale che non consente tentativi di addomesticamento è e resta il principium: la sequela della povertà e dell’umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa vergine sua Madre. Il motivo per cui entrambi i Santi assisiensi ci esortano a non allontanarci mai da essa, è perché tanto grande e tale Signore, quando venne nel mondo, volle apparire disprezzato, bisognoso e povero, perché gli uomini, che erano poverissimi e bisognosi, fossero resi in lui ricchi. Francesco stesso ne fa raccomandazione a frate Leone: in qualunque maniera ti sembra meglio di piacere al Signore Dio e di seguire le sue orme e la sua povertà…; nell’”ultima volontà” affida il “segreto del Re” a Chiara e Sorelle: …voglio seguire la vita e la povertà dell’Altissimo Signore nostro Gesù Cristo e delle sua santissima Madre…e prego voi e vi consiglio di non allontanarvi mai da essa, in perpetuo e in nessuna maniera… Altissima è la povertà, così come Altissimo è l’Onnipotente e Bon Signore. Una povertà scelta come privilegio unico e imprescindibile, come via preferenziale della stessa sequela evangelica. Una povertà che scaturisce dalla relazione-contemplazione del Volto Bellissimo in cui sempre Chiara si specchia per modellarsi fino a trasformarti tutta nell’immagine della Sua divinità. Povertà, esigenza di risposta all’amore ricevuto, per amare con tutta te stessa Colui che tutto si è donato per amor tuo; povertà desiderata e abbracciata per poter, con animo più libero, dedicarsi al Signore. Povertà dei semplici e degli umili, dei puri nel cuore, dei trasparenti nelle intenzioni e negli sguardi, in un cammino permanente di conversione-penitenza che purifica e illumina le grotte buie e difficili della nostra creaturalità e si allarga a spazi di incontro e relazione fino al fratello, volto e carne del Figlio di Dio! Di conseguenza, santa sarà l’unità a cui siamo pro-vocate, come santa è la carità di Cristo e santo è l’unico Spirito che ci con-voca; santa la stirpe a cui apparteniamo e santo il Vangelo che professiamo; santa è la Via che insieme percorriamo e santo è l’impegno della costruzione paziente e coraggiosa del Regno di giustizia e di pace. Papa Francesco, sulla scia dell’Evangelii Gaudium, non smette di esortare noi consacrati alla gioia, perché Dio libera davvero il nostro cuore, rende felice la nostra vita e per la bellezza che traspare nel seguire il Vangelo. Ci invita ad essere sempre di più “scuola di comunione”, dove tutti possono sperimentare “quant’è bello e soave che i fratelli vivano insieme”, dove le relazioni sono intessute nella trama quotidiana della fede e della pazienza, dove è possibile che la diversità si faccia convivialità e che l’ultima parola sia quella della misericordia. Ci ricorda ancora papa Francesco che le “periferie esistenziali” sono da sempre i primi luoghi di missione in cui siamo inviati a portare il Vangelo, anche noi, chiamate a una itineranza interiore, dove si incontra l’uomo nella sua verità e dove Dio “stende il braccio della sua misericordia”.

Una storia di Dio che pro-voca: la contemplazione in clausura.

Il Signore stesso ci collocò come forma, in esempio e specchio non solo per le nostre Sorelle ma anche a quanti vivono nel mondo: la madre Chiara sembra richiamare l’invito dell’apostolo Paolo a farci suoi imitatori. Pro-vocazione senza scorciatoie, storie a metà o facili traguardi: c’è di mezzo il Vangelo di Cristo Povero e Crocifisso! Non smette di interrogare e meravigliare noi per prime, nella nostra realtà di vita contemplativa in clausura, quella misteriosa fecondità apostolica del nostro vivere semplice e riservato, che non consente agli sguardi mondani e profani di sciupare e vanificare il significato, mentre permette all’opera di Dio stesso più libertà ed efficacia. Non siamo una “cosa diversa” da scoprire, da vedere, da capire, siamo una presenza di Dio da credere! Da sempre, da quel principium a San Damiano, dove cominciò l’avventura di Chiara e delle sue prime Sorelle, ci troviamo ai margini della vita dei più; ai margini delle mentalità e delle mode correnti; ai margini di tutto ciò che sa di garantito e autoreferenziale. Ai margini stessi di una pratica di religione e di Chiesa che può non giungere fino alle periferie trascurate e relegate, precarie e contraddittorie di tanta convivenza umana costretta ai margini. Da questi margini da “periferia esistenziale”, come papa Francesco stesso ci ricorda, si può meglio sentire e abbracciare il grido di ogni uomo che invoca il Padre dei piccoli e dei poveri e che ha cura di tutti i suoi figli. Liberamente abbiamo scelto una dimensione esistenziale di intimità, custodia, essenzialità che meglio consenta il primato della relazione con Dio, dal quale tutte le altre componenti del nostro vivere attingono nuovo ordine e possibilità. Gli ingredienti fondamentali si mescolano e avvicendano in un sapiente alternarsi di momenti propri dei ritmi monastici: dalla solitudine ai momenti di fraternità, dalla preghiera alla comunione, dalla meditazione alla condivisione, dal lavoro al riposo, dai giorni di festa ai feriali, nel processo di un tempo che svolge la sua trama “senza affanni e senza preoccupazioni”, quando è tempo del Dio-che-provvede.



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