Quello che la dieta di Daniele proclama in modo simbolico diventa molto più chiaro in altri episodi. Daniele, per esempio, entra in conflitto con i satrapi di re Dario, gelosi dello “spirito straordinario” che Daniele possedeva (Dan 6). I satrapi tendono una trappola per cogliere Daniele in fallo. Convincono re Dario a pubblicare un decreto che proibisce di pregare alcun dio eccetto lo stesso re, pena l’esser gettato nella fossa dei leoni. Ancora una volta, si tratta per Daniele di scegliere tra due alternative: obbedire alla volontà del re manifestata nel decreto o restare fedele a Dio e alla propria identità religiosa. Questa volta non ci sono stratagemmi che possano salvare Daniele, ma egli non ha dubbi: “Tre volte al giorno si metteva in ginocchio a pregare e lodava il suo Dio, come era solito fare anche prima”. Daniele rifiuta di allearsi alla violenza imperiale e al tempo stesso sceglie una via pacifica benché costosa. Daniele sa bene quanto alto sia il prezzo della sua fedeltà a Dio. I satrapi denunciano la disobbedienza di Daniele a re Dario che, pur addolorato, si vede costretto a eseguire il suo stesso decreto e fa gettare Daniele nella fossa dei leoni. L’ostinato silenzio di Daniele è davvero impressionante. Non protesta quando l’ingiusto decreto viene emanato. Non protesta quando i satrapi lo denunciano. Non protesta quando viene arrestato e gettato ai leoni. Questo silenzio lo rivela giusto. È la sua accettazione silenziosa della violenza ingiusta che lo rende un eroe. È il suo silenzio, in fin dei conti, che smaschera l’ingiustizia dei suoi nemici. La disobbedienza mite e silente di Daniele è un grido potente che denuncia l’ingiustizia della giustizia umana, l’illegittimità della legge di Dario. I primi cristiani hanno letto la pazienza docile di Daniele, che accetta una morte ingiusta pur di restar fedele a Dio, come un’immagine della passione di Gesù. La fossa dei leoni, un luogo di morte chiuso con una pietra e sigillato con l’anello regale, è immagine del Santo Sepolcro. Ma come anche Gesù, così Daniele esce illeso dalla prova mortale e ritorna a camminare tra i vivi allo spuntar del giorno. Solo ora, dopo aver affrontato e sconfitto la morte, Daniele parla: “Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma neppure contro di te, o re, ho commesso alcun male”. In queste parole, scopriamo che Daniele è rimasto fedele al tempo stesso a Dio, continuando a pregare nonostante la proibizione, e al re, non commettendo alcun male contro di lui né condannandolo con le sue parole. Ancora una volta, Daniele riesce a collaborare con il re senza farsi complice della violenza. Questa volta, tuttavia, paga un prezzo altissimo. Espone la sua vita alle fauci dei leoni.
Io sono innocente del sangue di lei!
Daniele tace quando subisce l’ingiustizia, ma si vede costretto a far sentire la sua voce quando la vittima è una persona innocente e indifesa. A Babilonia viveva Susanna, la moglie di un ricco ebreo (Dan 13). Due anziani giudici del popolo, che erano soliti frequentare la casa di Susanna e ardevano di desiderio per lei, le tendono un’imboscata nel giardino. Questa volta è Susanna che si trova nei panni di Daniele, che deve decidere se soccombere alla violenza o rimanere fedele a Dio, pagando questa fedeltà con la propria vita. Quando lei si rifiuta di cedere alle loro minacce, i due, forti della loro autorità, organizzano un processo farsa in cui accusano Susanna di aver incontrato un giovane in segreto. I presenti danno credito ai due anziani e condannano Susanna a morte. La legge si dimostra ancora una volta strumento dell’estrema violenza. Di fronte alla folla radunata si alza una voce di protesta: “Io sono innocente del sangue di lei!”. È la voce di Daniele che questa volta non può tacere e lasciare che l’ingiustizia trionfi. Il silenzio che aveva adottato quando era la sua vita a essere in pericolo, non è più accettabile. Se è un innocente a pagarne le conseguenze, il silenzio non è eroico, ma complice e vigliacco. Il silenzio di Daniele sarebbe intriso non del suo sangue, ma di quello di Susanna. Non c’è via di fuga dalla drammatica realtà della violenza. O si alza la voce o si è complici. Certo, Daniele riesce a dimostrare la malvagità dei due anziani e a far ricadere sulla loro testa il male che avevano tramato contro Susanna. Ma non deve sfuggire la portata delle parole di Daniele. Nel dichiarare Susanna innocente e il processo una farsa, Daniele si espone al rischio di dover pagare lui stesso in prima persona per aver sfidato l’autorità dei due anziani. Si oppone all’ingiustizia a proprio rischio. Se Daniele non fosse riuscito a dimostrare la falsità dei due anziani, avrebbe dovuto scontarne l’ira. Con le sue parole, Daniele si mette dalla parte di Susanna e ne abbraccia la sorte. Salvi insieme, o insieme perduti.
Daniele possedeva uno spirito straordinario
Le storie di Daniele hanno il tono fiabesco dei racconti orientali, ma contengono una potente riflessione sulla violenza e sull’oppressione, soprattutto religiosa. Daniele usa tutta la sua scaltrezza per non farsi complice della violenza, ma alla fine gli è chiesto di mettersi totalmente in gioco, di rischiare la propria vita. La sua giovinezza rappresenta l’intelligenza necessaria per fiorire anche all’interno di un sistema ingiusto e malvagio, senza lasciarsi macchiare dall’ingiustizia. La sua giovinezza rappresenta la sua ferma volontà di non compromettere la sua scelta fondamentale per il bene e per Dio. La sua giovinezza rappresenta la sua disponibilità a perder tutto per salvare il sangue innocente.
In DIRE CRISTO, a cura di Georges Massinelli
dal n. 2/2018 della Rivista Porziuncola
Bibbia Georges Massinelli Giovani Rivista Porziuncola
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