La maestosa ed imponente Basilica di Santa Maria degli Angeli, definita a ragione lo “scrigno” della pittura del Cinque e Seicento in Umbria, custodisce anche alcuni lavori di arte plastica, poco noti ma assai preziosi. Tra di essi merita senz’altro di essere ammirato l’altare situato al centro del transetto destro dell’edificio alessiano, una bellissima opera secentesca di chiara derivazione berniniana che, esuberante e spettacolare, sa coinvolgere profondamente chi la guarda con i suoi giochi di luce e con le tumultuose linee dei panneggi delle vesti dei suoi personaggi dalle forme anatomiche affusolate.
L’impostazione architettonica dell’altare è complessa e di sicuro effetto: come nella romana Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria, la luce solare, sottolineata ed esaltata da raggi dorati scolpiti, attraverso una finestra nascosta agli occhi dell’osservatore va ad irrorare il gruppo scultoreo della Liberazione di San Pietro dal carcere per intervento dell’Angelo, realizzato in stucco dal francese Jean Regnaud.
L’artista riesce a creare un mirabile tableau vivant del celebre episodio narrato nel dodicesimo capitolo degli Atti degli Apostoli (Atti 12, 1-11). Pietro è all’interno del carcere, circondato dai picchetti di soldati: alcuni dei suoi carcerieri sono addormentati, altri sorpresi ed atterriti per ciò che sta accadendo. Il fiero ed elegante angelo, che indica il cielo popolato di cherubini – due dei quali sorreggono le chiavi del Paradiso, simbolo del primato di Pietro – afferra l’Apostolo per il braccio, invitandolo ad alzarsi e a seguirlo; la catena giace a terra, spezzata. Sullo sfondo la cancellata di ferro della prigione è già sollevata e presto i due saranno fuori dall’edificio e dalla città...
Non tutti sanno che esiste un profondo legame tra questo avvenimento e il Perdono di Assisi, che l’altare barocco di Santa Maria degli Angeli vuole celebrare, quindi, in maniera indiretta. Già il francescano Pietro di Giovanni Olivi attorno al 1279 sottolinea come non sia un caso che l’Indulgenza della Porziuncola sia stata concessa proprio tra i primi vespri della festa di San Pietro in Vincoli e il giorno successivo: la liberazione dell’Apostolo dal carcere simboleggia infatti la liberazione della Chiesa dalle catene del peccato e la sua sottrazione da tutti i vincoli del carcere infernale. Non poteva perciò mancare all’interno del santuario – dove, per intercessione di Francesco d’Assisi, proprio il 2 agosto si ottiene un’indulgenza “a culpa et a pena” – una raffigurazione di questo episodio.
L’autore dell’opera, Jean Regnaud, noto anche con il nome italianizzato di Giovanni Rinaldi o Giovanni di Sciampagna, venne accolto nell’Accademia di Francia a Roma nel 1679 e fu attivo nella seconda metà del Seicento nell’Urbe e in territorio umbro come scultore, stuccatore ed architetto.
L’apprezzamento da parte del grande Gian Lorenzo Bernini della straordinaria abilità posseduta da questo artista nel modellare materiali duttili come lo stucco, la cera e la creta è testimoniato dalle numerose collaborazioni di Regnaud con il celebre maestro, che il giovane affiancò anche in opere molto importanti: tra il 1663 e il 1664, ad esempio, Regnaud lavorò alla Cattedra di San Pietro in Vaticano; tra il 1668 e il 1670 fu attivo in Sant’Andrea al Quirinale a Roma, e tra il 1672 e il 1674 offrì il suo notevole contributo per il Ciborio Bronzeo del Santissimo Sacramento, sempre in Vaticano.
A partire dalla metà degli anni Settanta del XVII secolo l’artista francese – che, grazie ad un contributo di Chiara Basta del 1986, è oggi possibile identificare con quel Monsù Giovanni di Champagne più volte citato nei documenti d’archivio e nelle fonti antiche – svolse un’estesa attività autonoma nella nostra regione: nei registri degli Stati d’Anime della parrocchia S. Andrea delle Fratte, che attestano come egli avesse risieduto a Roma fino alla metà del nono decennio, si legge infatti che nel 1675 Regnaud era “partito per Assisi”. A quello stesso anno risale inoltre un documento rinvenuto nel fondo notarile dell’Archivio di Stato di Foligno datato 7 febbraio (notaio Vincenzo Ugolini), che testimonia come i padri francescani di Santa Maria degli Angeli avessero concesso al mercante folignate Pietro Giuliani il permesso di costruire l’altare dedicato a San Pietro in Vincoli e di adornarlo con stucchi, bassorilievi e statue, secondo il disegno a penna su pergamena allegato all’atto che, anche se non firmato, è quasi certamente di paternità di Monsù Giovanni.
Giuliani aveva ottenuto il patronato di questa parte di transetto già dal 1673 e Francesca Vignoli ci informa come l’allestimento del sacello – iniziato probabilmente dal 20 gennaio del 1674 – sia stato portato quasi tutto a compimento nel 1678, eccetto la volta, che venne terminata a sessantasette anni di distanza.
Ancora oggi sull’altare un’urna dorata contiene le Reliquie di Santa Giuliana, estratte dal cimitero di Ciriaco nel 1667 e fatte collocare in Basilica nove anni dopo proprio per volontà del ricco Pietro Giuliani, che nella sua città era molto noto perché attivo nel commercio del rame e delle pelli.
Le due statue ai lati della grandiosa architettura barocca raffigurano San Feliciano martire, patrono di Foligno (sinistra) e il francescano San Bonaventura (destra).
Nella cimasa il dipinto su tela con la Gloria di San Pietro che si trova all’interno della cornice tonda sorretta da angeli e puttini è di paternità del folignate Gian Domenico Mattei (16321701/2), pittore che combina in un linguaggio personale aspro e ricco di forzature espressive – con quel gusto ai limiti del caricaturale che costituisce uno specifico figurativo degli artisti provenienti dalla sua stessa città – i modelli ancora legati al classicismo di Cerrini e lo stile barocco delle esperienze romane di Giovanni Lanfranco e di Pietro da Cortona.
In PARLANO I COLORI, a cura di Silvia Rosati
dal n. 3/2017 della Rivista Porziuncola
Altare Arte Basilica di Santa Maria degli Angeli Porziuncola Rivista Porziuncola Silvia Rosati
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