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I primi francescani in Cina 28 Feb 2023

Alla conquista dell’Impero Celeste

Nell’anno 2021 abbiamo celebrato l’ottavo centenario dell’importante Capitolo delle Stuoie in cui san Francesco d’Assisi, rientrato dall’Oriente, volle fare il punto e fortificare l’esperienza missionaria dei primi dodici anni di vita della sua giovane fraternità. Fu l’occasione, questa, per inserire nella sua Regola non Bollata il capitolo riguardante «i frati che vorranno andare tra i saraceni e gli altri infedeli». I “saraceni” erano gli arabi, ben conosciuti, anche in Italia in particolare nel regno di Sicilia e nelle Puglie. Di “altri infedeli” esistenti forse Francesco aveva sentito parlare durante il Concilio Lateranense IV (1215) da vescovi, abati, ambasciatori dell’Europa orientale: paesi martoriati dalle devastazioni, incendi, massacri operati da popolazioni provenienti dal centro dell’Eurasia. Sappiamo ora che li guidava il terribile Gengis Khan, coevo a Francesco (il Poverello morirà nel 1226 e Gengis Khan nel 1227). Forse frate Francesco con le parole “…gli altri infedeli” faceva riferimento proprio a queste popolazioni. Di fatto sarà verso queste genti, fino alla capitale dell’Impero Celeste (Pechino) che verranno inviate molteplici spedizioni francescane durante tutto il XIII secolo. In queste pagine fisseremo il nostro sguardo sulle vicende di frate Giovanni da Pian del Carpine, capofila della staffetta di questi vigorosi francescani. 

Chi era frate Giovanni
Nato a Pian del Carpine, nell’attuale Magione, sui pendii del lago Trasimeno, in territorio perugino, forse intorno al 1180-1185, coetaneo del santo di Assisi: di questi aveva subito il fascino delle scelte e ne condivise la vita già verso il 1215. Salimbene de Adam dice di lui: «Era frate Giovanni un uomo molto alla mano, spirituale, letterato e gran parlatore, esperto in molte cose, ed era già stato ministro provinciale nell’Ordine», era un frate temprato alle fatiche di viaggi interminabili, tra pericoli senza numero, soffrendo fame, freddo, caldo (Salimbene, 869). Giordano da Giano aggiunge:«Frate Giovanni da Pian del Carpine era un uomo corpulento e si faceva portare da un asino. Gli uomini di quel tempo, per la novità dell’Ordine e per l’umiltà di lui che cavalcava […] erano mossi a maggior devozione […] Egli fu il più grande divulgatore del suo Ordine. […] Fu un valoroso difensore del suo Ordine; infatti sostenne costantemente e personalmente il suo Ordine davanti a vescovi e principi. Egli proteggeva e governava i suoi frati, con pace e carità e con ogni sorta di consolazione, come una madre i figli, e come una chioccia i suoi pulcini» (FF 2385). Di lui parleremo, omettendo le sue ultime fatiche quale legato pontificio presso il re di Francia e successivamente come Arcivescovo di Antivari.

Missionario ‘apripista’ nel cuore dell’Europa
Concluso il Capitolo delle Stuoie, i frati si rimisero in cammino per le strade del mondo. Il gruppo dei volenterosi (votati a sicuro martirio, come ci dice Giordano da Giano nella sua Cronaca) inviati nell’Oltralpe centrale era capeggiato da frate Cesario da Spira, primo ministro provinciale della Germania. Questi «prese con sé fra Giovanni da Pian del Carpine», predicatore in latino e in lombardo, assieme ad altri frati (FF 2345) e, prima di mettersi in viaggio dalla Porziuncola per la Germania, «radunati i suoi frati, mandò innanzi a sé frate Giovanni da Pian del Carpine […] per preparare, per lui e per i frati, un luogo a Trento, facendo poi seguire gli altri frati a gruppi di tre o quattro […] e così giunsero a drappelli scaglionati a Trento» (FF 2346). È la prima volta che appare nei documenti antichi la figura di frate Giovanni da Pian del Carpine. Lo stesso Giordano da Giano narra che appena giunti in Germania, frate Cesario di nuovo radunò i frati in numero di trentuno ad Augsburg, per il primo capitolo, poi li inviò nelle diverse province: «mandò innanzi frate Giovanni da Pian del Carpine […] poi passarono a Magonza, a Worms, a Spira, a Strasburgo e a Colonia. Presentandosi al popolo, predicavano la parola della penitenza e preparavano degli alloggi per i frati che li avrebbero seguiti» (FF 2350). Anche il nuovo ministro provinciale Alberto da Pisa nel 1223 «convocò i frati più anziani della Germania, e cioè frate Giovanni da Pian del Carpine e frate Tommaso […] riflettendo con grande impegno sullo stato e la propagazione dell’Ordine, […] costituirono frate Giovanni da Pian del Carpine custode della Sassonia» (FF 2360-1). Frate Giovanni, capeggiando un gruppetto di frati, giunse poi ad Hildesheim e «presentandosi al signor vescovo Corrado, grande predicatore e teologo, furono da lui ricevuti con solennità. E questo vescovo, convocato il clero della sua città, fece predicare Giovanni da Pian del Carpine, primo custode della Sassonia, davanti alla moltitudine dei chierici» (FF 2362). Da Custode della Sassonia, volendo diffondere l’Ordine, frate Giovanni mandò alcuni frati a Brunswich, a Goslar, a Magdeburgo e ad Halberstadt (FF 2363). Scadendo poi il tempo del suo mandato custodiale, lo troviamo a Colonia (FF 2364). Qui il riposo fu breve: il nuovo ministro generale, Giovanni Parenti «nell’anno della canonizzazione del Beato Francesco (1228) lo nominò di nuovo Ministro provinciale di Germania […]. Fatto ministro della Germania, Giovanni mandò frati in Boemia, in Ungheria, in Polonia, in Dacia e in Norvegia. Ricevette anche una casa a Metz e piantò l’Ordine in Lotaringia» (FF 2385).

Aldilà dei Pirenei
Nel 1230 “frate Giovanni da Pian del Carpine, Ministro di Germania, celebrò a Colonia l’ultimo capitolo provinciale di Germania, […] e partì per il Capitolo generale di Assisi. In questo Capitolo generale, frate Giovanni fu esonerato dall’incarico in Germania e inviato in Spagna come ministro» (FF 2387). Poi «nell’anno del Signore 1232, nel Capitolo generale celebrato a Roma» frate Elia lo scelse nuovamente come ministro della Sassonia (FF 2391). Nel Capitolo del 1239, frate Giovanni fu esonerato da Ministro della Sassonia, ma non essendo stato confermato il suo successore, dovette rimanere ulteriormente in carica (FF 2401).

Legato pontificio sulle orme del Gran Khan
Correva l’anno 1245. Le devastazioni dei Mongoli (‘Tartari’ come li chiamavano in Occidente) dopo la morte di Gengis Khan (1227), erano proseguite ad opera di Ogodei. Nel 1241 l’armata mongolica di Subotai, generale di Ogodei, aveva sconfitto l’esercito ungherese, incendiato Pest, era penetrato nei Balcani e in Austria, comparendo ai confini del Friuli. L’Europa era rimasta atterrita. La sorte volle che l’imperatore Ogodei fosse avvelenato nello stesso anno, cosicché, a causa delle lotte intestine per la successione al Khanato, le orde ripiegarono verso la Mongolia. La cristianità trasse un sospiro di sollievo, consapevole che si era ritrovata incapace e frantumata di fronte a un attacco così impetuoso. Papa Innocenzo IV, già qualche mese prima dell’apertura del Concilio di Lione (1245), decise di inviare delle delegazioni verso questi popoli: per conoscerli, trattare la pace e possibilmente farli diventare cristiani. Per quest’opera aveva urgenza di ambasciatori di fiducia, esperti, coraggiosi e di sacrificio. Il modo migliore per raggiungere i Tartari sembrò quello di inseguirne, via terra, le tracce nei paesi ancora fumanti. Gli occhi caddero di nuovo su frate Giovanni che conosceva tutta l’Europa, dalla Spagna all’Ungheria: ma questa volta questo frate doveva andare oltre… verso l’ignoto, in terre sconosciute, con lettere per un imperatore sconosciuto… e «senza sapere se saremmo andati incontro alla vita o alla morte» (Ystoria, IX,18).

Ventimila leghe… nella steppa
È lo stesso frate Giovanni, una volta rientrato in Europa, a trasmetterci il racconto di questo imprevedibile viaggio. Partito da Lione il giorno di Pasqua (16 aprile 1245) assieme a frate Stefano di Boemia, si mette in viaggio portando con sé alcune missive del Pontefice, che esorta l’imperatore dei Tartari a interrompere l’avanzata armata nell’Europa, a trattare la pace con la cristianità e a farsi cristiano.  I due frati attraversando Boemia, Slesia, Polonia, Ucraina occidentale giungono in Russia…. proseguono per decine di migliaia di kilometri, tra bufere di neve, caldo asfissiante, diffidenze, interrogazioni, minacce, ispezioni a ogni nuova stazione dei Mongoli: infine passando di principato in principato, arrivano ai confini della Manciuria e a Karakorum il 22 luglio 1246. Frate Giovanni giunge proprio quando gli elettori Mongoli (provenienti dall’immenso impero: dall’Europa orientale fino alla costa cinese del Pacifico) si radunano per l’Assemblea che deve scegliere il nuovo sovrano. Frate Giovanni viene bene accolto dalla madre, reggente dell’impero, condotto nell’incantato luogo dell’elezione e intronizzazione di Guyuk, figlio di Ogodei, poi trasferito in altro luogo per qualche mese. Ammesso infine alla presenza del sovrano, può consegnare a Kuyuk la missiva del Pontefice (Ystoria IX,40). Kuyuk si informa attentamente su chi sia l’autorità suprema dell’Occidente e scrive minaccioso al Pontefice: «La fortezza di Dio, l’imperatore di tutti gli uomini al grande papa […] Se tu, papa, e tutti i re e governanti desiderate avere pace con noi, non indugiate […] allora sentirete la nostra risposta e conoscerete la nostra volontà […] Come potete conoscere a chi Dio concede il suo favore? Noi adorando (il nostro) Dio, abbiamo, con la fortezza di Dio devastato ogni terra dall’oriente all’occidente…» (Salimbene, 874-878). Con queste lettere nella sua bisaccia, congedatosi dalla madre dell’imperatore, frate Giovanni si rimette in cammino per l’Europa: più speditamente, perché questa volta tutti si inchinano davanti al lasciapassare e ai sigilli del nuovo imperatore. Rientra a Lione presso Innocenzo IV il 18 novembre 1247. La risposta di Kuyuk, certo, non era stata positiva, ma intanto era stato gettato un primo grande ponte tra Oriente e Occidente.

Il rientro in Europa
Per tutti quelli che in Europa volevano vederlo e ascoltarlo, frate Giovanni raccontava con lucidità e semplicità questa sua grande avventura, fino a decidere di metterla per iscritto nella Ystoria Mongalorum, quos nos Tartaros appellamus (“Storia dei Mongoli che noi chiamiamo Tartari”). Salimbene de Adam attesterà: «Quando era stanco di raccontare le cose dei Tattari (frate Giovanni) faceva leggere questo libro […] e se capitava che le cose lette lasciassero perplessi o fossero oscure, interveniva a spiegare e commentare con pazienza ogni cosa» (Salimbene, 872). Il volumetto diventerà subito un best-seller e costituirà il vademecum verso l’Impero Celeste per successivi missionari ed esploratori, tra cui, 25 anni più tardi, il nostro Marco Polo. Frate Giovanni sa bene quello che l’Occidente spera di conoscere da questa sua spedizione, e premette un sommario all’inizio di ogni singola parte. Dopo la rapida introduzione Incomincia la storia dei Mongoli che noi chiamiamo Tartari, frate Giovanni ci descrive (cap. I) il territorio dei Tartari: posizione, caratteristiche, clima; (II) popolazione: aspetto delle persone, abitudini coniugali, abiti, abitazioni, suppellettili; (III) usanze religiose: culto, (cose) ritenute delittuose, divinazione, espiazione delle colpe, riti funebri; (IV) abitudini: buone abitudini e cattive abitudini, cibi, costumi; (V) origine dell’impero dei Tartari: i loro capi, potere dell’imperatore e dei suoi vassalli; (VI) la guerra: ordine di battaglia, armi, stratagemmi negli assalti, crudeltà verso i prigionieri, espugnazione delle fortezze e delle città, slealtà verso coloro che si arrendono; (VII) territori a loro sottomessi: condizioni di pace con i nemici, nome dei territori sottomessi, oppressione su questi popoli, territori che hanno opposto coraggiosa resistenza; (VIII) come affrontare in guerra i Tartari: quali siano le loro intenzioni, armamento e disposizione tattica delle loro truppe, come eludere le loro insidie, come munire città e fortezze, come comportarsi con i prigionieri; (IX) la strada percorsa: posizione dei territori attraversati, disposizione della corte dell’Imperatore e dei suoi prìncipi, testimoni incontrati nella terra dei Tartari.  In sintesi la Ystoria Mongalorum «si caratterizza non solo come un diario di viaggio, ma anche come un vero e proprio trattato sulle peculiarità del territorio, sulle usanze culturali e le credenze religiose, sulla storia dell’Impero Mongolo […] un vero documento antropologico” (G. Pullé, Giovanni da Pian del Carpine, in Enciclopedia Treccani).  Il servizio di questo umilissimo francescano nei confronti della Chiesa e dell’Occidente proseguirà ulteriormente con la sua legazione a Ludovico Re dei Francesi e con l’altra difficile missione di pacificatore come arcivescovo di Antivari (nel Montenegro) ove morirà ai primi di agosto dell’anno 1252.

di Rino Bartolini
dal n. 1/2022 della Rivista Porziuncola

photo credit: Erdenebayar Bayansan da Pixabay



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