Dei Re Magi si legge che, dopo essersi lasciati alle spalle la città di Gerusalemme, con le discussioni dei dottori della legge e gli intrighi di Erode, con grande gioia ripresero a seguire la stella, trovarono il Bambino e “prostratisi, lo adorarono” (Mt 2,11).
Noi dobbiamo fare un po’ come loro. Se infatti, come dice S. Paolo, il peccato che rende gli uomini “inescusabili” è non riconoscere Dio come Dio (cf. Rm 1), allora il suo antidoto è l'adorazione, perché solo l’adorazione, essendo riservata esclusivamente a Dio, attesta che si riconosce Dio “come Dio”.
L’adorazione è l’unico atto religioso che non si può offrire a nessun altro, neppure alla Madonna, ma solo a Dio. È qui la sua dignità e forza unica. Ma in che consiste propriamente e come si manifesta l’adorazione? È come un lampo di luce nella notte. È la percezione della grandezza, maestà, bellezza, e insieme della bontà di Dio e della sua presenza che toglie il respiro. È una specie di naufragio nell’oceano della maestà di Dio.
Un’espressione di adorazione, più efficace di qualsiasi parola, è il silenzio. Esso infatti dice da solo che la realtà è al di là di ogni parola. Secondo alcuni, la parola “adorare” indicherebbe, nel latino, il gesto di mettersi la mano sulla bocca, come ad imporsi silenzio. Adorare – secondo la stupenda espressione di san Gregorio Nazianzeno – significa elevare a Dio un “inno di silenzio”. Come a mano a mano che si sale in alta montagna l'aria si fa più rarefatta, così a mano a mano che ci si avvicina a Dio la parola deve farsi più breve, fino a diventare completamente muta e unirsi in silenzio a colui che è l’ineffabile.
L’adorazione esige dunque che ci si pieghi e che si taccia. Ma è, un tale atto, degno dell’uomo? Non lo umilia, derogando la sua dignità? Che Dio è se ha bisogno che le sue creature si prostrino a terra davanti a lui e tacciano? È inutile negarlo, l’adorazione comporta per le creature anche un aspetto di umiliazione, un farsi piccoli, un arrendersi; così essa attesta che Dio è Dio e che niente e nessuno ha diritto di esistere davanti a lui.
Con l’adorazione si immola e si sacrifica il proprio io, la propria gloria, la propria autosufficienza. Ma questa è una gloria falsa e inconsistente, ed è una liberazione per l'uomo disfarsene. Adorando, si diventa “autentici” nel senso più profondo della parola. Nell'adorazione si anticipa già il ritorno di tutte le cose a Dio.
Come l’acqua trova la sua pace nello scorrere verso il mare e l’uccello la sua gioia nel seguire il corso del vento, così l’adoratore nell'adorare. Adorare Dio non è dunque tanto un dovere, un obbligo, quanto un privilegio, anzi un bisogno. Non è dunque Dio che ha bisogno di essere adorato, ma l'uomo di adorare.
Uno slancio gioioso, dono spontaneo della creatura che esprime così la sua gioia di non essere lui stesso Dio, per poter avere un Dio sopra di sé da adorare, ammirare, celebrare.
Photo credits: Eugene Triguba on Unsplash
Adorazione Inno Magi Natale Notte Silenzio
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